La Stampa, 26 luglio 2018
La corsa all’oro di Jack London
Verso la fine di luglio del 1897 lo scrittore Jack London – che ai tempi era poco più che ventenne – si imbarca sul vaporetto Umatilla diretto in Alaska. Il suo obiettivo è di arrivare verso il Klondike, la zona Nord dello Yukon, in Canada. Passa per Dawson City ma poi si ferma e si stabilisce a Stewart Island. Ai tempi non c’erano Airbnb o Booking per prenotare una stanza dove dormire o un albergo dove passare la notte, non esistevano i voli economici per raggiungere velocemente la propria meta, non c’era WhatsApp per comunicare con la propria famiglia e neppure Instagram per condividere le foto dei bellissimi (e molto pericolosi) paesaggi del Klondike. Era iniziata la corsa all’oro e l’obiettivo di London, come quello di molti altri, era quello di diventare ricco. Ricordo i fumetti in cui Paperon de’ Paperoni ha iniziato a costruire la sua enorme ricchezza proprio trovando miniere d’oro nel Klondike, spalmandosi di grasso per non sentire freddo e combattendo contro banditi e orsi. Ma se lo zio di Paperino ebbe la sorte di arricchirsi in mezzo alla neve e alle intemperie lo scrittore statunitense non fu altrettanto fortunato. Tornò a casa dopo qualche tempo senza più un dollaro e senza l’oro che tanto sognava. Ma durante quel lasso di tempo raccoglierà il materiale necessario per scrivere i racconti del Klondike che lo faranno prima riconoscere come scrittore e poi come autore di successo in grado di creare una nuova forma di scrittura capace di cambiare per sempre il corso della letteratura popolare americana. E non solo. Anche se non sono Jack London è successo anche a me di andare a vivere lontano da casa. In Cile per l’esattezza. Ai tempi avevo ventiquattro anni. Non ero un cervello in fuga, anzi. Al massimo un cuore, perché mi sono trasferito per amore. Avevo abbandonato il mio lavoro con il tanto agognato posto fisso, i miei amici, la mia famiglia. Ho lasciato tutto scommettendo su me stesso. Un giorno un professore delle medie mi regalò un foglietto con una poesia. La poesia era «Se» di Kipling (curiosamente Jack London fu soprannominato «il Kipling del Klondike»). C’è un verso di quella poesia che dice: «Se saprai fare un solo mucchio di tuttele tue fortuneE rischiarlo in un unico lancio a testa o croceE perdere, e ricominciare di nuovo dalprincipiosenza mai fare parola della tua perdita (…) sarai un Uomo». Questo verso è stato una sorta di mantra che ripetevo nei momenti difficili e mi ha accompagnato durante tutta la mia avventura sudamericana. Un’avventura fatta di vittorie irripetibili e fallimenti colossali. Di gioia, tristezza, emozioni e malinconia. Sono tornato con un bagaglio pieno di cose nuove e non parlo di oggetti ma di esperienze. Esperienze che mi sono servite, e mi servono, tuttora. Partite con un’idea, anche la più strana che avete in mente e inseguitela. Abbiate il coraggio di fallire, riprovare e tentare ancora. Abbiate il coraggio di tornare, se necessario. Non abbiate paura della sconfitta perché – come diceva Michael Jordan – solo sbagliando e sbagliando ancora si può arrivare a vincere tutto.