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 2018  luglio 25 Mercoledì calendario

Dai rifiuti alla valigia: la via delle infradito passa dalla discarica

“In questi giorni, mentre preparate la valigia per le vacanze, non dimenticate di metterci le infradito e di trattarle con rispetto: è probabile che abbiano viaggiato più di voi e che abbiano visto cose che voi non potete neanche immaginare. Le infradito possono sembrare semplici ed economiche. Ma sono parte di una storia più grande e complessa”.
L’appello ai bagnanti è firmato Caroline Knowles, docente di Sociologia dell’Università di Londra che sul portale The Conversation Espana del quotidiano spagnolo El Pais ha raccontato la grande storia delle ciabatte da mare più diffuse al mondo. Un racconto che coinvolge i più poveri della Terra e che va dall’Africa alla Cina, ma soprattutto, sa di petrolio.
Mentre tutti noi conosciamo la parte finale della “via delle infradito” tracciata dalla Knowles e facilmente deducibile dall’etichetta: “Made in China” – perché è proprio nella Repubblica comunista che le ciabatte di plastica vengono assemblate, da minuscole fabbriche ne escono miliardi l’anno –, ciò che ci è meno noto è la parte della filiera che la precede.
Questa storia ha inizio nei campi di petrolio del Medioriente. “La materia prima della quale sono costituite le ciabatte la estraggono i lavoratori migranti dalla Siria e dal sud dell’India, che vivono in accampamenti nel deserto e lavorano sulle piattaforme di perforazione con turni di 12 ore sotto un caldo che brucia”, racconta la sociologa. Ma la catena della fatica è appena iniziata. Da qui, infatti, “parte di questi prodotti lavorati vengono trasformati in piccoli granelli di plastica nelle enormi fabbriche della città sudcoreana di Daesan”, spiega Knwoles. Questi piccoli pezzetti colorati poi vengono acquistati dalle fabbriche di infradito di mezzo mondo, “soprattutto dai posti in cui la manodopera è a basso costo, come il Vietnam e diverse zone dell’Africa subsahariana”. A questo punto inizia la distribuzione, che al contrario di quanto immaginiamo, è maggiore nei paesi poveri, come in Etiopia, dove “se la maggior parte delle persone cammina scalza, per la restante parte le infradito sono l’unica scarpa disponibile”. In queste zone, “alla vendita legale si mischia quella di contrabbando”, scrive la sociologa inglese. “Così nel grande mercato di Addis Abeba anche i più poveri possono comprarne”. E qui l’epilogo, ancora più desolante del resto del viaggio: le infradito rotte, infatti, finiscono nell’immensa discarica della capitale etiope, a Koshe, dove decine di rovistatori di professione le riprenderanno per riciclarle. Anche a costo della vita. L’anno scorso, la montagna di una delle discariche a cielo aperto più grande del mondo scivolando ha inghiottito 113 persone. “Dunque, trattate bene le vostre ciabatte da spiaggia. Sono molto più di ciò che possiate immaginate”.