Il Messaggero, 25 luglio 2018
Il ballerino e coreografo Giuliano Peparini si racconta: «La mia vita da Billy Elliot tra botte, insulti e successi»
I Capuleti? «Breaker da combattimento». I Montecchi? «I ballerini del Teatro dell’Opera che hanno imparato ad alzare le mani». Frate Lorenzo è chiuso in gabbia e al posto del balconcino, video proiezioni. Shakespeare arriva a Caracalla, rivisto e corretto da Giuliano Peparini, 43 anni, romano, coreografo, regista teatrale e ballerino. Il suo nuovo Giulietta e Romeo (prodotto dal Costanzi) andrà in scena dal 27 luglio al 4 agosto con étoile e corpo di ballo del Teatro dell’Opera. Nei ruoli principali Susanna Salvi, Claudio Cocino – Vittoria Valerio – solista della Scala, e Michele Satriano. David Levi sul podio. Autore del musical Giulietta e Romeo – ama e cambia il mondo, prodotto nel 2013 da Zard e ancora in tour, e direttore artistico per cinque anni – fino a febbraio scorso – del talent show di Canale 5 Amici di Maria De Filippi, Peparini ora è pronto per il debutto romano, per dirigere lo show di Baglioni a Verona, «ma soprattutto per portare un po’ di Italia nel mondo e occuparmi di miei progetti. Nessuna polemica con Maria, tutti i grandi amori hanno bisogno di pause. Vedremo», spiega Peparini,
La tv aiuta o confonde la danza?
«Il responsabile della confusione non è la tv, ma chi non spiega ai ragazzi che cosa succede fuori. In un programma sei al centro dell’attenzione. Ma quando esci e sei nella giungla devi essere in grado di fare da solo».
Lo stile televisivo è meno nobile?
«Gli anni in cui sono stato in tv ho cercato di mettere sotto i riflettori diversi universi. Hip hop, classico, contemporaneo. Rolando Petit, che mi ha insegnato tutto, mi diceva sempre che dal cabaret alla scuola delle accademie russe, bisogna saper fare tutto. E dare il massimo. I cataloghi uccidono la fantasia».
Ma i ballerini dei teatri sono in grado di interpretare tutto?
«Tutti possono, se vogliono. Mentre ero all’American Ballet studiavo hip hop. E grazie ai corsi di recitazione a New York ho imparato a ridurre all’essenziale la mia gestualità pomposa da danzatore».
La sua propensione a utilizzare tutti i linguaggi dello spettacolo dal vivo è stata vincente anche nei templi della classica: lo Schiaccianoci pop e hiphop che ha presentato nelle scorse stagioni al Teatro dell’Opera è stato campione d’incassi. Merito anche della popolarità televisiva?
«Se la tv è servita da specchietto per le allodole e a portare a teatro chi non ci aveva mai messo piede prima, meglio così».
E allora perché ha lasciato la trasmissione Amici?
«Avevo voglia di ritornare nel resto del mondo. Sto preparando una megaproduzione in Cina da 150 milioni. Reinterpretiamo la leggenda orientale del serpente bianco in un teatro costruito a misura. Con Maria De Filippi nessun addio burrascoso. Gli amori finiscono. E rinascono. Chissà».
Che bagaglio si porta dietro dopo tanti anni in tv?
«Io ho usato la platea dello schermo anche per far passare altri messaggi. Argomenti fondamentali per i ragazzi. Di cui si parla molto poco. O molto male».
Droga? Bullismo? Sesso?
«Io sono stato vittima di bullismo. La mia infanzia, durissima. Sfottuto, emarginato e altro. Mi considero un Billy Elliot dei Colli Albani. E credo di poter dare una mano a chi ha vissuto quello che è successo a me. Ho cominciato a frequentare la scuola di danza quando avevo otto anni. La stessa di mia sorella, l’unico maschio della classe. Ci accompagnava mamma. Ma finita la lezione, prima di poter uscire e tornare a casa dovevamo aspettare che fossero tutti andati via».
Questo succedeva più di 30 anni fa. Secondo lei oggi è cambiato qualcosa?
«Sono stato pochi giorni fa in Puglia per uno stage con artisti giovanissimi. Molti di loro avevano più bisogno di coraggio che di imparare a fare un plié».
Un uomo ballerino continua a essere recepito come un diverso?
«Certo, effeminato e fragile. Le cose per me sono cambiate soltanto quando ho cominciato a lavorare. Venni scelto per Fantastico 9, con Bigonzetti. Ora mi diverto quando torno a casa e incontro i reucci di Colli Albani...».
E di che cosa altro parla ai ragazzi?
«Protezione sessuale. Non sa quanti considerano ancora il profilattico un alien, un nemico. Zard era un complice assoluto. Cercavamo sempre, negli spettacoli che abbiamo fatto insieme, di far passare altro, insieme con il divertimento».
Il kolossal Giulietta e Romeo, che ha diretto per Zard, è in tour da anni. E ora firma per la stagione estiva del teatro dell’Opera a Caracalla un nuovo Giulietta e Romeo. Un caso? Una passione? O un’ossessione?
«All’inizio, quando Zard me lo propose, non mi andava granché, ma gli avevo già detto di no a Tosca e a Dracula. Quindi ho accettato e ci siamo messi al lavoro. Ora è un pezzo di me. Una storia culturale e sociale, dentro c’è tutto. Il romanticismo e la disperazione. L’ebbrezza di poter fare e l’impotenza. Con Zard abbiamo fatto un musical. A Caracalla sarà un balletto. Diverso, senza le parole di Shakespeare, è tutto diverso. L’amore sarà il pretesto per raccontare anche l’odio. Insomma, ho trovato una nuova via».
Quale?
«Le tensioni le racconto usando il linguaggio della danza. Breakers contro ballerini classici. Capuleti contro Montecchi. Che se le danno di santa ragione. È uno spettacolo nello spettacolo assistere alla fusione di due gruppi che erano estranei fino a un momento prima. L’arrivo di una nuova comunità contamina l’ambiente. Lo arricchisce».
Un sogno?
«Firmare una regia d’opera. Tosca, Traviata, il Barbiere. O La Damnation de Faust, che sarebbe proprio nelle mie corde. Non sono un esperto di musica lirica. Ma ho molte idee e qualcosa da dire».