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 2018  luglio 25 Mercoledì calendario

Intervista alla pianista Zhu Xiao-Mei: «La musica e i sogni mi hanno reso libera»

La mia generazione è stata straordinaria. Mao ha distrutto tutto, eppure tanti di noi hanno trovato il modo di continuare a seguire i loro sogni». Per tutta la vita si è rifiutata di scrivere un libro Zhu Xiao-Mei. Pianista di fama mondiale, considerata tra i maggiori interpreti di Bach, di cui proprio ora sta registrando le opere complete, ha sempre parlato attraverso le note: « Non volevo che gli spettatori venissero ai concerti per la mia storia » . Alla soglia dei 70 anni però si è convinta che quella storia condivisa, sua e dei suoi compagni di studi, dovesse essere raccontata. Giovani musicisti a cui il furore ideologico e le violenze della Rivoluzione culturale di Mao Zedong hanno strappato ogni cosa, impedendo loro di suonare, costringendoli ad anni di lavoro e stenti nei campi di rieducazione, punendoli solo perché provenienti da famiglie giudicate "borghesi". Il pianoforte segreto, ora uscito da Bollati Boringhieri, è il modo di Zhu, che ce l’ha fatta lasciando il suo Paese, prima verso gli Stati Unti e dagli anni ‘ 90 in Francia, di restituire loro una voce. «Solo parlando apertamente di quella tragedia la Cina può proseguire nella giusta direzione, e finora non è stato fatto».
Un 70 per cento di cose giuste e un 30 di sbagliate: la storiografia ufficiale comunista ha messo in archivio la sua verità sul Grande timoniere. Non basta?
«Nulla è mai stato discusso pubblicamente, nessuno di noi ha mai avuto l’opportunità di parlarne».
All’indomani della proclamazione della Repubblica Popolare Mao ha promesso al popolo cinese che non sarebbe stato più schiavo. "Mai frase fu più vera e più falsa", scrive nel suo libro.
«Era una idea così bella, la possibilità di vivere liberi, ci aveva fatto sognare. Tutti ci credevano, sia noi che i nostri genitori. La realtà invece è stata miserabile, così tante persone sono morte durante la Rivoluzione culturale: la Cina non era più dominata, ma nessuno era libero di decidere il proprio destino».
La musica è stata uno strumento di resistenza?
«Non c’era possibilità di resistenza, tanto meno attraverso l’arte. La musica è stata piegata al servizio della politica. Quella occidentale, da Mozart o Bach, è stata vietata, così anche gran parte di quella cinese. Esisteva un solo libro, il Libretto rosso. Tutti dovevano uniformarsi, chi non lo faceva veniva condannato e ucciso».
Lei ammette con grande onestà di aver perso il senso morale in quegli anni, di aver per esempio spiato e denunciato alle autorità una compagna di conservatorio. In mezzo al furore ideologico nessuna voce ha osato sfidare il regime?
«Pochi si sono sollevati, abbiamo conosciuto la loro storia solo in seguito, alla fine della Rivoluzione culturale o anche dopo. L’unico modo di non adeguarsi era suicidarsi, molti artisti hanno deciso di togliersi la vita».
Eppure un "eroe" nel suo libro c’è. Lei definisce così un suo compagno di conservatorio, Cunzhi, bollato senza ragione come nemico della Rivoluzione e picchiato di fronte a tutti gli studenti dalle Guardie Rosse che avevano preso il controllo della scuola.
«La sua carriera è stata distrutta, ma ha comunque cercato di inseguire il suo sogno. Si è trasferito in Giappone dove per sopravvivere ha aperto un ristorante cinese, e nel suo locale dopo 30 anni continua ad organizzare concerti».
Anche lui, come lei, è andato all’estero. Era davvero l’unica strada?
«Tutto era in pezzi, andarsene era il modo per tornare a vivere. La nostra generazione è stata straordinaria ad avercela fatta».
Leggendo la minaccia di Mao agli artisti, "rieducatevi o sarete dei pesci fuor d’acqua", viene da pensare al trattamento riservato nei suoi ultimi anni di vita al premio Nobel Liu Xiaobo e poi, fino alla liberazione, alla sua vedova Liu Xia. Che analogie ci sono tra la Cina di allora e quella di oggi?
«Dopo la fine della Rivoluzione culturale la Cina ha fatto degli enormi passi avanti in molti campi, a cominciare dall’economia, ora è un Paese molto più potente. Ma per una cultura davvero libera ci vorrà molto tempo, per questo voglio restare a Parigi. Tutto inizia dall’educazione e una intera generazione di cinesi, per colpa di Mao, non ne ha ricevuta alcuna».
Al di là degli affari, sembra che in molti altri campi, dalla cultura alla politica, la Cina e l’Occidente facciano fatica a trovare un terreno comune di dialogo.
«Da cinese che ha vissuto per 35 anni all’estero posso dire che il dialogo tra Oriente e Occidente per me è necessario, la cosa più importante: la musica classica, nata in Europa, può essere uno dei terreni di scambio. È quello che cerco di trasmettere con il mio modo di suonare Bach, naturale, equilibrato, sereno, non manierista. C’è ancora tanta strada da fare, ma la cultura può aiutare».