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 2018  luglio 25 Mercoledì calendario

Io, prof tradito dai quiz trappola per fare il preside

Cara Repubblica, sono uno dei più di 35 mila docenti che hanno preso parte al concorso per dirigenti scolastici, atteso da diversi anni, più volte rinviato e finalmente partito. Ho partecipato lunedì 23 ai test preselettivi e purtroppo, è andata male. Avevo studiato. Lungo gli anni di attesa di questo concorso ho conseguito un master di secondo livello sulla dirigenza scolastica e in prossimità del concorso ho frequentato un corso specifico e studiato testi appositi. È andata male. Ho cercato nei venti giorni, intercorsi dalla pubblicazione della batteria di quattromila quesiti, ad opera del ministero, da cui sono stati estratte cento domande per la prova, di mandare a memoria quanti più test possibile. Ho tentato di imprimere nella mia mente parole chiave, segni di qualsiasi tipo, che potessero aiutarmi a ricordare. Tutto inutile: ho raggiunto un punteggio pari a 58. Non nascondo la mia amarezza. Mi sono sentito nell’aula della prova, di fronte al monitor, come un topo da laboratorio in una skinner box: se avessi premuto sul pallino giusto avrei conseguito il risultato (1 punto), se avessi premuto su quello sbagliato avrei ottenuto una penalizzazione (— 0,3), se non avessi premuto su nessuna delle quattro opzioni, non avrei ottenuto nulla. Ero in prossimità di una delle finestre dell’aula dove ho sostenuto la prova. Ho intravisto, ad un certo punto, il mio volto riflesso sul vetro. Il volto di un uomo di cinquanta anni, con due lauree, entrambe conseguite con 110 e lode, un dottorato di ricerca in filosofia, due master di secondo livello, quattro libri pubblicati e diversi saggi comparsi su riviste scientifiche universitarie, 15 anni come amministratore presso il mio comune di origine. Non ce l’ho fatta, non sono mai stato capace di imparare a memoria. È più forte di me: provo repulsione per questo tipo di apprendimento, cerco di educare gli stessi miei alunni a non praticarlo, ad usare la ragione. Ma lì, in quell’aula, la ragione era inutile. Ciò che contava era la misura di abbrutimento intellettuale raggiunta nella prontezza di riflessi condizionati acquisiti per poter rispondere velocemente a quelle domande. Pensavo che la dirigenza scolastica richiedesse altri requisiti, una capacità di visione, coraggio innovativo, intraprendenza, per dare a questa nostra scuola italiana nuovi orizzonti, un impulso a diventare davvero competitiva e in grado di formare uomini e donne preparati, ricchi di valori. E invece, quello che conta è l’acquisizione di una buona mnemotecnica. Non credo di ritentare più qualcosa del genere. Non fa per me, non ce la farei comunque.
(l’autore è docente di filosofia e storia a Roma)