Corriere della Sera, 25 luglio 2018
Dall’Afghanistan all’Iran, la Storia in retromarcia
Marie-Claude e George Villenaud sono gli autori di una straordinaria guida turistica: un record di vendite ai suoi tempi. Nel prologo si legge: «L’Afghanistan è a soli otto giorni di macchina da Parigi, grazie alle nuove strade trans-continentali turche e persiane».
Era una guida Fodor, antenata della Lonely Planet, per «turisti che si interessano alla vita reale della gente». Edizione 1969. Esattamente 49 anni dopo le informazioni più utili a un aspirante turista in Afghanistan compaiono del sito della Farnesina viaggiaresicuri.it: «Si sconsigliano vivamente viaggi a qualsiasi titolo in considerazione della gravità della sicurezza interna al Paese, dell’elevato rischio di sequestri e attentati a danno di stranieri in tutto il territorio nazionale».
La storia all’indietroLa guida Fodor scriveva: «La macchina della modernizzazione si è messa in moto e niente potrà fermarla». Si sbagliava. La rincorsa del futuro, non solo si è bloccata ai check point talebani, ma è andata in retromarcia. Prima dell’inversione della Storia, fino a tutti gli Anni 80, a Kabul era donna il 40% dei medici, il 70% degli insegnanti e (nel 1977) il 15% dei deputati. Vestivano all’occidentale e il burka era roba da contadine. Nell’epoca d’oro del turismo in automobile, 90mila stranieri riuscirono a visitare l’Afghanistan. Molti arrivavano in Land Rover o con i pullmini Volkswagen sulla via per l’India. Partivano in cerca della spiritualità del buddismo o dell’induismo, ma spesso si accontentavano della marijuana e oppio afghani.
Gli alberghetti di Chicken Street a Kabul, allora non avevano le sbarre alle finestre o i metal detector anti attentato, ma avrebbero dovuto proteggere meglio i parapetti dei terrazzi. Senza aria condizionata, alla ricerca di frescura o di stelle, decine di europei si drogavano sui terrazzi e in preda alle allucinazioni cadevano di sotto. Il piccolo cimitero cristiano della città, prima che venisse profanato dai talebani, era pieno di lapidi di europei. Due i nomi degli italiani che si intravvedono ancora: Ottavio nel 1968 e Giovanni nel 1972.
Da comunisti a nazionalistiIn 40 anni sono stati coinvolti tutti i Paesi lungo il tragitto. Negli Anni 70 si attraversavano i Balcani sulle strade della Jugoslavia comunista, ma negli Anni 90 e 2000 quelle strade sono state a lungo vietate dalla Guerra Civile che ha generato Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Kossovo, Macedonia. Dieci anni di guerra, 100mila morti.
Da nazionalisti a islamistiLa Turchia di Ataturk era il Paese più laico del Medio Oriente. La modernizzazione post-ottomana la portò nel 1999 ad essere ufficialmente «Paese candidato» all’ingresso nell’Unione Europea. La Turchia venne lasciata in attesa, e cominciò la progressiva islamizzazione del presidente Erdogan con la sua politica neo-ottomana esplicitata dal «diritto delle donne a velarsi». Oggi il confine turco con la Siria è terreno di guerra e quello con l’Iran sorvegliato contro le infiltrazioni di migranti e trafficanti di droga.
Da modernisti a integralistiLa Persia si è allontanata ancora di più da quella che credevamo sarebbe stata la marcia inarrestabile della Storia. Dal 1979 è diventata Repubblica Islamica d’Iran. Invece di uno Scia reinsediato dalla Cia e affascinato da caviale di Chez Maxim’s, dalle Harley Davidson e dalle Chevrolet Cherokee, è arrivato il turbante dell’Ayatollah Khomeini. L’Iran è oggi la success story anti-occidentale per tutto il mondo islamico. La cravatta o le minigonne sono diventate simbolo di oppressione mentre il velo obbligatorio per legge è il vessillo di identità e indipendenza riconquistate. Risultato: negli ultimi 4 decenni l’Iran è rimasto chiuso al mondo esterno, figurarsi ai pullmini degli hippies. La Rivoluzione più la guerra con l’Iraq hanno causato oltre un milione di morti e 38 anni di sanzioni internazionali.
Dall’ospitalità ai rapimentiL’Afghanistan degli Anni 70 è oggi irriconoscibile. Nel 1979 i sovietici invasero il Paese per domare la rivolta anti comunista e da allora è praticamente sempre stato in guerra. I primi dieci anni di scontri distrussero il 95% della capacità agricola e uccisero tra 700mila e 2 milioni di persone; 1,2 milioni furono gli invalidi e oltre 6 milioni i profughi. La Guerra Civile afghana (1992-1996) ha fatto altri 30mila morti e 500mila rifugiati. La guerra internazionale al terrorismo (dal 2001 a oggi) ha prodotto altri 300mila morti e 2 milioni di sfollati interni. Scomparse le coltivazione di grano, frutta secca e melograni, l’unico guadagno viene oggi dai papaveri per l’eroina e dalle armi. I talebani pagano un loro soldato 600 dollari al mese, l’esercito filo occidentale di Kabul circa 500. Non c’è tempo e spazio per essere ospitali con i turisti.
La speranza in uno schiaffoLa via della modernizzazione dall’alto, quella imposta da Ataturk, dallo scia di Persia o dal comunismo in Afghanistan, non ha dato risultati brillanti. Ci sta ora tentando anche il giovane erede al trono saudita Mohammad bin Salman: donne che guidano, sudditi che lavorano, esercito che combatte. C’è l’appoggio americano e israeliano. La scommessa è in corso. Potrebbe andar bene o portare a un’altra guerra con l’Iran.
Resta però anche la speranza di una modernizzazione dal basso, dove la popolazione chiede pace, più benessere, e più diritti. Le Primavere arabe sono state un’avvisaglia, ma sono andate come sono andate. Male. Forse il futuro entrerà attraverso la vita di famiglia. Nell’ultimo film della regista afghana Roya Sadat la protagonista risponde con uno schiaffo alle botte del marito. Durante la proiezione, a Kabul, qualcuno ha applaudito, sfidando le barbe nere. La storia comunque procede.