La Stampa, 24 luglio 2018
Un’altra Africa. Il business della musica cerca nel continente le nuove stelle del pop
Non chiamatelo Afrobeat. I tempi di Fela Kuti sono alle spalle, la scena musicale pop africana è cambiata e nuovi protagonisti sono in rampa di lancio. Carriere fulminee, velocizzate dalla Rete. Milioni di fan in Africa, ma anche in Gran Bretagna e Stati Uniti. Le icone musicali dei Millenials africani sono pronte a prendersi tutto con un mix di hip hop, musica elettronica e reggae africano.
Se ne sono accorte anche le grandi case discografiche, pronte a correre ai ripari dopo aver sottovalutato la crescita esponenziale di artisti come Davido, il giovane nigeriano fresco vincitore nella categoria miglior artista internazionale ai Bet Awards di Los Angeles. Universal Music, Sony: è iniziata la corsa a mettere sotto contratto artisti in grado di registrare sold-out non solo più tra le mura africane, ma anche nei festival musicali internazionali. Non per caso, hanno deciso di aprire sedi sparse in tutto il continente. Da Johannesburg (Sudafrica) a Lagos (Nigeria), da Accra (Ghana) ad Abidjan (Costa d’Avorio).
Cantanti fino a pochi anni fa definiti emergenti come i ghanesi Stonebwoy e Sarkodie, il sudafricano Cassper Nyovest, il nigeriano D’banj si sono trasformati in star globali. Riempiono gli stadi diroccati dei Paesi d’origine come le arene europee. Si spostano con jet privati da Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) a Londra, postano tutto sui profili Instagram in stile «Rich Kids». Hanno fan, un brand di successo, spesso scimmiottano i più noti colleghi americani, sono padroni dei social musicali da YouTube a SoundCloud, veicolano musica e testi a colpi di click. Tutto senza l’aiuto delle grandi etichette discografiche. Ma una volta raggiunta l’apoteosi in patria e nel continente, c’è la voglia di passare da un’audience principalmente panafricana a una sempre più globale, andando a pestare i piedi ai mostri sacri Jay-Z o Kanye West, puntando sulla crescente diaspora africana.
Una filiera completa
La Universal Music, che ha da poco lanciato in Nigeria la prima etichetta made in Africa, punta a creare una filiera completa, dalla produzione al marketing alla gestione degli eventi live, per monetizzare ogni aspetto del successo degli artisti africani. Dopo aver messo sotto contratto il nigeriano Tekno e il ghanese Stonebwoy, la casa discografica con sede a Los Angeles ha deciso di puntare sulla diffusione musicale in streaming, facilitata dalla Vivendi, il colosso delle telecomunicazioni francese di cui è sussidiaria.
Al contrario dei primi anni 2000 quando gli artisti africani non si battevano ad armi pari con i colleghi occidentali o asiatici, oggi la diffusione della Rete e degli smartphone ha ridotto lo svantaggio. La grande sfida è trovare accordi con le compagnie di telecomunicazione per ridurre i costi del traffico dati, ancora molto alto in Africa, in modo da aumentare le visualizzazioni. Tra le più attive la Mtn, colosso della telefonia mobile sudafricano, presente in molti Stati del continente che ha lanciato Mtn Music+, una piattaforma alternativa ad iTunes che permette di vedere e scaricare contenuti musicali africani anche offline.
In Nigeria la musica è tanto sacra quanto la religione e pop star come Davido e D’banj sono riusciti a trovare un altro modo di capitalizzare. Hanno siglato accordi con le principali compagnie telefoniche per diffondere le loro canzoni durante le chiamate. Così mentre si è al telefono aspettando che la persona risponda, si inganna l’attesa ascoltando un po’ della loro musica gratuitamente.
Una strategia che vale tra i 350 e i 400 mila dollari all’anno per gli artisti. Se in passato la pirateria online ha rappresentato uno dei più grandi ostacoli alla diffusione della musica africana, gli smartphone sembrano aver radicalmente cambiato l’industria del continente. Per cementare sempre più la presenza in Africa, la Sony ha siglato un accordo con Kleek, una piattaforma africana di streaming per cellulari che vede anche la partecipazione di Samsung.