la Repubblica, 24 luglio 2018
Mamma, papà e la provetta. Ecco il futuro
Quarant’anni, Louise Brown, la prima figlia della provetta, sale sul palco del Grant for Fertility Innovation di Merck, e racconta la sua storia. Scorrono le foto della sua mamma, di Louise da piccola, dell’ospedale inglese dove è nata e delle tante lettere e cartoline arrivate da tutto il mondo per chiedere aiuto a Bob Edwards, l’artefice della sua nascita, il 25 luglio del 1978, con Patrick Steptoe. E quei titoloni sui giornali di tutto il mondo, persino sui familiari italiani. Non sapevano di essere i primi al mondo, i Brown. Perché Edwards, prospettando loro la fertilizzazione in vitro, glielo nascose.
Oggi, a quarant’anni di distanza, i bambini nati in provetta in tutto il mondo sono oltre otto milioni. E – secondo i dati presentati a Barcellona all’Eshre, il congresso della società europea di riproduzione umana ed embriologia, che registra circa l’80% di tutti i cicli europei – nascono più di mezzo milione di bambini all’anno da oltre due milioni di trattamenti di fertilizzazione in vitro e Icsi. Anche se i numeri si stanno spostando sempre più velocemente verso l’abbandono della prima tecnica a favore dell’Icsi, che prevede – invece dell’incontro tra gameti in una provetta – l’iniezione del singolo spermatozoo in un ovocita, e il trasferimento dell’embrione in utero.
Cosa è cambiato in questi 40 anni? Tanto, soprattutto un affinamento delle tecniche e dell’esperienza degli operatori che avrebbe dovuto portare a risultati straordinari. Se non fosse cambiata così tanto la società, però. «Perché posporre la gravidanza – ragiona Laura Rienzi, embriologa e past president di Sierr, la società italiana di embriologia, riproduzione e ricerca – ha fatto sì che i gameti siano di qualità peggiore. Con percentuali di gravidanza più basse, essendo strettamente correlate all’età. Nel 2015 il 40% delle coppie era sotto i 35 anni, adesso meno del 30%, e invece quasi il 35% ha più di 40 anni. Abbiamo raggiunto dei grandi risultati, siamo in grado di riconoscere l’embrione giusto per poter arrivare a una gravidanza più velocemente. Ma la natura non si supera e non ci sono terapie che aggiustino uova o spermatozoi. Se non la donazione di spermatozoi oppure ovociti, e quindi la fecondazione eterologa».
Eterologa che, secondo l’ultima relazione al Parlamento sulla Pma, viene molto richiesta anche in Italia, da quando non è più vietata, nonostante il cronico problema della mancanza di donatrici che continua a spingere molte coppie verso l’estero, soprattutto verso la Spagna, che ha grandi banche di ovociti donati. Un viaggio che ha un costo non indifferente, e non è un caso infatti che la maggior parte dei cicli in Italia avvenga nei centri pubblici o privati convenzionati. «Nel pubblico c’è un limite d’età – 43 anni – e un tetto al numero dei tentativi, in genere tre – spiega Rocco Rago, che dirige il centro Pma dell’ospedale Pertini di Roma – ma l’Emilia Romagna ha spostato questo tetto a 46 anni e 6 cicli. Personalmente credo abbia poco senso, perché a fronte di tanti soldi spesi si hanno risultati estremamente bassi. Inoltre non servirebbe neanche spostarsi di regione, perché comunque se il Lazio ne rimborsa 3 il limite per una residente nel Lazio resta quello. Con tre tentativi la tendenza è stata di passare subito ai trattamenti di primo livello, in particolare alla Icsi. Noi, per esempio, facciamo solo quella perché l’organizzazione del nostro laboratorio è stata standardizzata per questa tecnica. Inoltre – stanchi di vedere i nostri pazienti costretti ad andar via nel privato dopo il terzo tentativo – ci siamo inventati una sorta di pagamento a pacchetto, con un costo di circa 3000 euro per l’intero ciclo, da effettuare in ospedale e con i medici che hanno sempre seguito la coppia, e la conoscono bene. Un modo con cui la struttura pubblica può venire incontro ai bisogni delle coppie. La nostra esperienza è positiva, come credo anche quella dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, che è l’unico altro centro pubblico a farlo».