la Repubblica, 24 luglio 2018
Nasceranno figli dagli uteri trapiantati
Parla Mats Brannström, l’uomo che promette alle donne un organo riproduttivo di ricambio È cautissimo, davanti ai colleghi. E ripete che la procedura è assolutamente sperimentale e di difficile applicazione. Non è ancora un trattamento. Non ancora. Poi, però, seduto e rilassato, sogna: sì, può diventare una opzione terapeutica per tutte quelle donne che nascono senza utero, o che lo hanno perso per malattia. Mats Brannström, ginecologo svedese dell’università di Göteborg, è il pioniere dei trapianti di utero, e ha continuato a crederci e lavorarci persino quando nel suo stesso ospedale pensavano fosse un matto visionario.
Poi ci sono state le nascite, e adesso sono i primi al mondo. Ma per riuscirci – ripete – è necessario trasferire esperienza e tecnologia. Non improvvisarsi. Oggi Brannström ha accordi con Francia e Germania e – dice – tra due o tre anni comincerà in Italia. Ma attenzione, ripete più di una volta: serve un gruppo affiatato, di ginecologia avanzata, esperti in trapianti e tecnologia. «Devoti al progetto. Dice proprio così: devoti. Non ci si può improvvisare, anche se si è bravi chirurghi. Non senza mettere a rischio la vita delle donne». Ed è per questo che si è dato un limite etico: non preleva uteri da donne giovani, anche se hanno figli. Perché potrebbero volerne altri o potrebbero morire durante l’intervento e lasciare bambini piccoli. Così come non preleva uteri a donne anziane. «La fascia d’età è tra 22-23 e 35 anni per chi riceve l’utero e tra 41-42 e fino a 52 anni per chi lo dona – spiega – e spesso siamo in difficoltà perché le donne che ci chiedono un utero hanno circa 30 anni e la loro mamma – la donatrice principale – ne ha almeno 55 e deve essere esclusa».
A Brannström arrivano tra cinque e dieci richieste al giorno, da tutto il mondo. Ma l’équipe opera solo le pazienti arruolate in uno studio. L’operazione è lunga e non facile. Così come è difficile selezionare donatrice e ricevente. Che vengono prese in carico ed esaminate da due diversi team di psicologi che devono indagare sulle loro motivazioni reali. «Spesso le madri si offrono perché si sentono in colpa per la situazione della figlia – spiega il ginecologo – e abbiamo avuto anche richieste di donatrici che, dopo aver avuto due o tre figli, decidono di sterilizzarsi e donare il proprio utero». Un universo variegato di solidarietà femminile. E, secondo qualcuno, anche di un po’ di incoscienza.
Il trapianto di utero, infatti, prevede una terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto. Come per altri trapianti. «Ed è per questo che dopo aver raggiunto l’obiettivo, l’utero viene rimosso. Una mia paziente lo ha tenuto per tentare una seconda gravidanza, riuscita, ma subito dopo il parto – conclude Brannström – che ho effettuato personalmente con mia moglie, l’organo è stato rimosso. In futuro si potrebbe usare altre volte. Ed essere un’opzione per le circa centomila donne che in Europa hanno infertilità uterina assoluta, sono state sottoposte a isterectomia o hanno un utero che non funziona».