la Repubblica, 24 luglio 2018
Pioggia di denaro sulle banche, Pechino prepara la guerra dei cambi
La scorsa settimana avevano bisticciato in pubblico, cosa assai inusuale. La Banca centrale cinese aveva punzecchiato il governo, di fatto il suo capo, a fare di più per ridare sprint a un’economia che rallenta, e che i dazi di Trump potrebbero inchiodare. Il messaggio è arrivato: ieri le due istituzioni hanno agito all’unisono. La Banca del Popolo con una iniezione di liquidità da 74 miliardi di dollari che darà ossigeno al sistema bancario, permettendo di erogare più prestiti. Il governo di Li Keqiang un po’ più timido nel merito, sgravi sulle spese in ricerca e nuovi bond per le infrastrutture, ma comunque determinato a parole: d’ora in avanti la politica fiscale sarà «più proattiva», quella monetaria «più bilanciata». E pazienza se questo manderà su tutte le furie Trump.
Non è un’inversione a “u”, sostengono gli analisti, ma certo una virata rispetto alle politiche degli ultimi mesi, tutte improntate a ridurre il bubbone di debito che turba i piani di sviluppo di Xi Jinping. Gli effetti indesiderati di questa stretta si moltiplicano: i bond delle aziende private registrano default record, il mercato immobiliare pare aver raggiunto il picco. Se durante la Grande Crisi il credito facile ha tenuto ai massimi il motore della Cina, il suo prosciugarsi rallenta ora la crescita trimestrale al 6,7%, il minimo da tre anni. Per l’intero 2018 le previsioni dicono +6,5%, ancora una planata, ma la guerra commerciale a 360 gradi annunciata Trump minaccia di togliere un altro mezzo punto, atterraggio ben più brusco.
Da settimane allora la Banca centrale ha aggiustato il tiro, sfoderando un arsenale di operazioni non convenzionali degno di Mario Draghi per sostenere l’industria del credito, ma senza cambiare direzione alla politica monetaria. Il nuovo governatore Yi Gang ha tagliato i depositi precauzionali richiesti alle banche, e ieri ha iniettato i 74 miliardi nel sistema attraverso prestiti a medio termine. «Un bilanciamento tra alleggerimento e stretta», lo ha definito il governo, che ora fa la sua parte. Ma sarebbe stato più onesto dire un cerchio quadrato: continuare a ridurre i rischi ma senza rallentare l’economia.
Mettiamoci pure che la nuova liquidità in circolo potrebbe deprezzare ulteriormente lo yuan, da un mese in discesa libera. Trump accusa Pechino di mandare a picco la moneta di proposito, per annullare via cambio l’effetto dei dazi. La verità è più sfumata. Innescare una svalutazione stile 2015 non conviene alla Cina: rischierebbe di scatenare una fuga di capitali e di mandare nel panico tutte le valute degli Emergenti, preziosi alleati contro il protezionismo della Casa Bianca. La stretta della Fed contribuisce a rafforzare il dollaro, la frenata cinese a indebolire il renminbi: sono forze di mercato. È vero però che Pechino non è intervenuta per sostenere la sua moneta, cosa che potrebbe fare. Spettri di guerra valutaria, l’ennesimo effetto perverso dell’assalto di Trump.