Il Messaggero, 24 luglio 2018
Michele Placido racconta il suo Caravaggio pop
Un premio alla carriera al Taormina FilmFest a coronare più di novanta film da attore, dodici da regista e una serie, Suburra, «che mi hanno chiamato a dirigere perché sono un veterano della tv, e che adesso cammina sulle sue gambe da sola». A 72 anni Michele Placido è tornato nella Sicilia che lo rese popolare negli anni Ottanta con La Piovra («Molto più originale delle fiction di oggi, che si somigliano un po’ tutte») per annunciare, dal Teatro Greco di Taormina, di essere al lavoro su due nuovi progetti: uno spettacolo da Pirandello e un film su Caravaggio, «il sogno della mia vita».
Che effetto le fa il premio alla carriera?
«Di solito lo danno a quelli che non lavorano più: diciamo che preferisco prenderlo adesso, mentre sono ancora impegnato, piuttosto che fra qualche anno».
Rimpianti ne ha? Avrebbe voluto qualche riconoscimento in più?
«Ho avuto tutto, anche troppo. Non mi manca niente. I premi? Chiunque lavori nel cinema pensa che ricevere un Oscar sia il massimo punto di arrivo. Ecco, probabilmente se quello che ho fatto in Italia lo avessi fatto in America, ci sarebbe stato spazio anche per me. E dire che nel 1955 stavo emigrando negli Stati Uniti, da mio nonno americano».
Un sogno che non è riuscito a realizzare?
«Nessuno. Erano dieci anni che volevo fare un film su Caravaggio, e adesso finalmente la Rai mi ha dato il via libera. Racchiuderà tutto il mio lavoro, la mia esperienza. Sarà il film della mia vita».
Non doveva essere una serie tv?
«Era un’idea. Ma poi ci siamo decisi per un film. Lo sviluppo è stato attivato da Rai Cinema su progetto artistico della Goldenart Cinematografica. Il film sarà coprodotto da una grande casa di produzione italiana con esperienza a livello internazionale. Non si tratta, come hanno scritto erroneamente, della Cattleya».
Il titolo?
«Si chiamerà La banda Caravaggio».
A che punto è?
«Sto lavorando alla sceneggiatura con Sandro Petraglia, con cui scrissi Romanzo Criminale, e Salvatore De Mola. Giro in primavera. Prima porterò a teatro Sei personaggi in cerca d’autore».
Che tipo sarà il suo Caravaggio?
«Un artista, ma anche un personaggio pop. Un Caravaggio pasoliniano, testimone del suo tempo. La sua Roma era una città piena di misticismo e violenza, una suburra di eccessi nella quale lui si comportava come un vero trasgressivo. Non seguiva gli ordini della Chiesa, si opponeva alla riforma, al posto dei santi dipingeva i poveracci e le prostitute che frequentava di notte. Era un uomo che andava per taverne, faceva a cazzotti, aveva frequentazioni ambigue: un personaggio scomodo, che finì nelle mire dei servizi segreti del Vaticano».
Come racconterà la sua pittura?
«Più che come un pittore racconterò Caravaggio come un regista. Studiava al dettaglio come mettere in scena le sue figure, non faceva quadri ma tableau vivant».
Una volta disse che Alessandro Borghi sarebbe stato perfetto nel ruolo.
«Sì, ma facevo il suo nome solo per indicare un certo tipo di attore, una tipologia di interprete che non ha nulla da invidiare ai colleghi americani. Potrebbe essere Borghi come Stefano Accorsi. Di certo sarà un nome italiano. La Rai è d’accordo a non farne un prodotto internazionale a tutti i costi. Caravaggio è italiano, lavora in Italia, rappresenta un’eccellenza del nostro Paese».
Lei avrà una parte?
«Penso di sì: ci saranno tanti personaggi, sarà un film corale».
Oggi si sente un artista scomodo?
«Non credo che sia il momento di provocare. Oggi noi artisti dobbiamo partecipare al confronto senza scadere nelle tifoserie: quando un popolo si divide, possono accadere cose molto sgradevoli. Se non la si pensa come questo governo bisogna combattere, ma la battaglia deve essere civile».
E lei come la pensa?
«Su una cosa sono allineato col governo: perché l’Italia deve essere la sola responsabile dell’accoglienza dei migranti? Non metto in discussione l’accoglienza, che è un insegnamento cristiano di base. Ma bisogna fare un lavoro importante in politica estera, e non lo si può lasciare nelle sole mani di Salvini».