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 2018  luglio 24 Martedì calendario

«Noi, famiglia ribelle». Ricordi estivi di Claudio Petruccioli

Qualche giorno prima degli scontri a Valle Giulia del 1 marzo 1968, sotto alla scalinata della facoltà di Architettura, mi chiamò Nuccio Fava. Ai tempi era presidente dell’Unuri, l’Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana. E mi disse: “Aldo Moro vuole capire bene cosa sta succedendo nelle università e cosa si può fare. Verresti con me?”. Naturalmente accettai…».
Il ’68 di Claudio Petruccioli, futuro direttore de l’Unità e futuro presidente della Rai, ai tempi segretario nazionale della Fgci, la Federazione giovanile del Pci – la guidò tra il luglio 1966 e il marzo 1969 – è denso di storie ed episodi.
Aldo Moro era presidente del Consiglio e voleva analizzare il problema ascoltando loro, gli studenti: «Ero stato il primo comunista ad entrare nella giunta dell’Unuri. Dissi a Moro che la misura più urgente era garantire agli studenti un luogo dove dibattere dopo gli sgomberi all’università. C’era, a mio avviso, un problema di sicurezza. Vedevamo girare migliaia di studenti per le strade, sotto la Federazione romana del Partito comunista in via dei Frentani, vicino all’università. Non sapevano tecnicamente dove andare… Moro escogitò una soluzione, e così le assemblee si tennero in piazza di Siena, nel cuore di villa Borghese».
Il ’68 di Petruccioli è ricco di intrecci. Un fratello, Sergio, leader degli studenti a Valle Giulia, alla facoltà di architettura. Un altro fratello più giovane, Sandro, anche lui impegnato nel Movimento studentesco. Un cugino di nome Oreste Scalzone: «Siamo figli di due sorelle, a casa nostra in quel periodo si discuteva tanto di politica, veniva spesso anche Valerio Veltroni, il fratello di Walter. Già ai tempi sentivo dire molte sciocchezze, e mettevo in guardia Oreste. Io ero impegnato in una battaglia politica all’interno del Pci e la mia posizione era chiara». Il ricordo di quel 1 marzo è netto: «Ci demmo tutti appuntamento in piazza di Spagna. Arrivò un gruppetto di fascisti che issava uno striscione “Tutti insieme contro il sistema”. Ci ribellammo, lo togliemmo di mezzo e ci dirigemmo tutti verso Valle Giulia». 
Le fotografie del tempo parlano chiaro. Nel gruppo del Movimento ecco Sergio Petruccioli, Massimiliano Fuksas, Oreste Scalzone, un giovanissimo Giuliano Ferrara. Poi la Fgci, Claudio Petruccioli: «Eravamo tutti insieme, non c’era ancora la divisione intransigente tra Pci e Movimento». Quel 1 marzo c’era la rappresentazione plastica della famosa poesia di Pier Paolo Pasolini. Il contenuto è notissimo: Pasolini si schierò con i poliziotti, figli di contadini e operai, e contro gli studenti, rampolli borghesi. 
«Onestamente quei giovani poliziotti apparivano come storditi, appesantiti nelle loro divise ancora grigio-verdi. Ci furono lanci di sampietrini, uova marce, gli scontri, le due o tre camionette andate a fuoco, i feriti tra poliziotti e studenti. Si diffuse la voce che la polizia avesse sparato. Ma non era vero. Si tornò in centro. Prima piazza del Popolo, poi via del Corso, sotto la sede del Psi, che fu duramente contestato…». 
Pochi giorni dopo, dal 17 al 19 marzo, la Fgci organizzò un’assemblea nazionale a Firenze al Palagio dei Capitani di Parte Guelfa. «Io tenni la mia relazione da segretario sui fatti universitari. Sostenni l’importanza del Movimento. Ma sottolineai che, al momento delle decisioni, la forma assembleare non poteva funzionare e che occorreva una necessaria forma di delega, cioè la base della democrazia rappresentativa. Dopo di me prese la parola Sergio, il leader più in vista di Valle Giulia, che esordì dicendo: “Non sono d’accordo con la relazione del compagno Petruccioli”. Venne giù il Palagio…». 
Nel frattempo Sergio è scomparso nel 2004, la forte commozione è inevitabile. Arrivò l’estate, Petruccioli andò in vacanza al Conero sull’Adriatico, ma dovette tornare di corsa a Roma perché era cominciata l’invasione di Praga da parte delle truppe del Patto di Varsavia.
Un bilancio del ’68, Petruccioli? «Non ho mai scritto niente su quei giorni. Mi ha sempre irritato la divisione tra chi giudica quella stagione come un momento eccezionale, irripetibile e chi attribuisce al ’68 tutte le colpe di un progressivo disastro. Preferisco inserirlo in un’analisi complessiva. Ragionando come Marx, che invitava a studiare la Storia dall’oggi, io allineo tre date. I risultati delle elezioni del 4 marzo 2018. Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro nel 1978, e appunto il ’68. Hanno in comune la crisi della politica e dei partiti, così come si erano manifestati nel Dopoguerra, per la sostanziale incapacità di trovarsi in sintonia con la società, con le sue dinamiche più autentiche. Diciamo così: mi pongo un classico problema moroteo…».