la Repubblica, 23 luglio 2018
Cherkaoui: «Che notti al Louvre con Beyoncé»
È il belga-magrebino Sidi Larbi Cherkaoui l’artefice delle favolose danze di Apeshit, clip dell’ultimo singolo di Beyoncé e Jay-Z, girata con sfarzo di mezzi al Louvre di Parigi: sofisticati e iper-pittorici nel look, i Carters cantano, ballano e sfoggiano molta bellezza tra quadri come Le nozze di Cana, La zattera della Medusa e La Gioconda. «L’idea di realizzare il video al Louvre è stata di Beyoncé», ha raccontato Sidi Larbi, messaggero di una danza raffinata e intensa. «Col regista Ricky Saiz abbiamo lavorato per due notti nel museo parigino, ma ovviamente i materiali coreografici erano già stati approntati». Si tratta della terza collaborazione con Beyoncé del grande Sidi, artista ai vertici della creazione scenica contemporanea, famoso per il suo spiccato multiculturalismo. In tale prospettiva ha l’ambizione d’indagare, attraverso il gesto, il patrimonio di una memoria ancestrale, prossima alle radici dell’umano. «Lavorare con Beyoncé è stressante e fascinoso», riferisce. «Lei è cosciente del minimo dettaglio e vede tutto. Posso esporre le mie intenzioni, ma è Beyoncé ad avere l’ultima parola». Nel video è ipnotica l’onda dei corpi, tutti di colore, che prima tappezza la scalinata del museo, poi offre movimenti cadenzati e sensuali con celebri affreschi sullo sfondo. Oltre a proporsi come un esercizio di potere dei due divi, che tra i capolavori d’Occidente sfidano la mortalità, la clip è un manifesto dell’emancipazione afroamericana in una reggia della cultura bianca.
Tema con cui può sintonizzarsi a fondo Sidi Larbi Cherkaoui, coreografo attratto dalle differenze e dotato di un’inventiva interlinguistica scatenata. Oggi non si può più parlare di danza o di teatro o di performance o d’installazioni visive come fossero campi distinti, e Sidi, che ha collaborato fra l’altro con Alain Platel e Marina Abramovic, risulta ben immesso nell’intreccio.Il suo estro poetico e il suo talento plastico-visuale emergono vistosamente nelle coreografie di Noetic e di Icon, opere d’arte dinamica con temperature opposte e complementari.
Noetic è bianco e aereo, di assoluta leggerezza; Icon è scuro e materico, dominato dall’argilla che invade la scena e appesantisce i ballerini, trasformati in sculture mobili. Noetic è astrazione splendente, pura geometria. Icon è rito atavico e fangoso campo di battaglia. Paradiso e inferno. Luce razionale e viscere terrigne. Montati da Sidi Larbi per la compagnia di danza dell’Opera di Göteborg, in Svezia, i due pezzi debuttarono nel 2014 e nel 2016, e gli stessi formidabili interpreti dell’ensemble svedese che ne consacrò la nascita continuano a rappresentarli in tournée. Di recente sono apparsi in un’unica serata nel festival Steps di Ginevra, ottenendo un bel successo: la partitura coreografica a due facce cattura il pubblico per 165 minuti nell’avvenenza della sua visionarietà bipolare.Ora la maratona è attesa al festival Torinodanza, che sarà inaugurato il 10 settembre dal duplice evento (Teatro Regio): si parte con Noetic alle 20 e si prosegue con Icon alle 21.40.
L’artista visivo inglese Antony Gormey, scenografo di riferimento per Sidi, ha destinato a Noetic la costruzione di lunghe aste candide, in fibra di carbonio, che delimitano gli spazi: collegandosi tra loro danno vita a sfere e ad altre forme. Vibra in palcoscenico una partita di atomi abbaglianti e di giochi molecolari, animando quella che Sidi definisce «una pièce sulle umane connessioni». C’è profumo di scienza o fantascienza in questo show d’aura matematica che sa toccare le emozioni. Il clima è sacrale e al contempo erotico nella sinuosa calligrafia dei corpi. E le melodie di Szymon Brzòska hanno sonorità che richiamano l’antica Grecia, il Medioevo e il Rinascimento.
«Grazie ai moduli elastici delle aste bianche», segnala il coreografo, «lo spazio attorno ai danzatori diviene un elemento percepibile e misurabile, col quale interagire». La strategia riflette una metafora dei rapporti, ovvero «il modo in cui le persone si legano per poi separarsi».
La dimensione magmatica di Icon scaturisce invece da una riflessione sul concetto di icona, cioè su come fabbrichiamo gli idoli e di volta in volta li abbattiamo per ricominciare: «Ogni gesto vitale deriva da una distruzione», osserva Sidi. Anche Icon, come Noetic, è un viaggio colmo d’interrogativi spirituali, accompagnato da musiche e canti giapponesi e coreani: «Plasmando le effigi, compiamo un furto rispetto alla divinità: non a caso l’Ebraismo e l’Islam proibiscono le immagini. La massa inerte di Icon alimenta simulacri che si faranno disintegrare: la tensione fra l’iconografia e l’iconoclastia è per l’uomo un dilemma senza fine».