la Repubblica, 23 luglio 2018
L’azzardo dei giapponesi: via libera ai casinò ma dieci volte al mese
«Faites votre jeu. Fate il vostro gioco». Alla scuola per croupier di Tokyo hanno iniziato a prepararsi con grande anticipo: è dal 2004 che l’istituto sforna provetti direttori di sala. Scommessa azzeccata, ora si può dire. Ci è voluto più del previsto, anni di discussioni e polemiche, ma alla fine in Giappone i casinò arriveranno davvero. Tre per cominciare, tanti ne prevede la legge approvata venerdì dal Parlamento, poi chissà. Il tempo di capire se per l’isola roulette e black jack saranno una benedizione di turismo e tasse, come spera il premier conservatore Shinzo Abe, oppure una maledizione di dipendenza e malavita, come teme l’opposizione. Sintonizzata, a giudicare da sondaggi e proteste, con la maggioranza dei cittadini.
Perché i sudditi dell’imperatore il vizio ce l’hanno eccome: 3 milioni e 200 mila persone dipendenti dal gioco, tra le incidenze più alte dei Paesi sviluppati, nonostante le possibilità di azzardo legale siano ridotte all’osso. Le chiassose e affollate sale di “pachinko”, versione tradizionale delle nostre slot, le vecchie lotterie o le sempre più deserte corse di cavalli. Niente a che vedere con i scintillanti resort stile Las Vegas, tutti specchi, fontane e marmi, che vedranno la luce grazie a questa legge. Complessi di hotel, ristoranti, teatri e sale convegni, utopie di lusso e perdizione progettate per incanalare i turisti dove possono essere spennati, cioè al tavolo verde. Saranno calamite per stranieri, ma a sentire gli esperti di Goldman Sachs soprattutto per i giapponesi: il 57% dei visitatori dovrebbero essere locali.
Una potenziale emergenza sociale, che la legge proverà a evitare discriminandoli. Per chi ha passaporto estero ingresso libero, i giapponesi dovranno pagare 50 dollari. E non potranno piantare le tende davanti alle slot: massimo tre visite a settimana, dieci al mese. Comunque abbastanza per rovinarsi, dicono i critici, anche perché lasciando un deposito in denaro si potrà giocare a credito.
Perdere ancora, nel tentativo di recuperare le perdite. Il governo replica che a Singapore dopo l’apertura dei resort la dipendenza è diminuita, non aumentata. Fatto sta che nella città-Stato il biglietto di ingresso è più alto e il limite agli ingressi mensili più stringente: otto.
L’altro rischio, ben noto nelle capitali dell’azzardo, è che tra i tavoli si intrufoli la criminalità organizzata. Il Giappone è considerato il Santo Graal del gioco, l’ultimo grande mercato globale (con Brasile e India) da colonizzare, per giunta a un tiro di schioppo dai nuovi ricchi cinesi.
Vale 16 miliardi di dollari, il secondo dietro Macao. Da anni il tycoon di Las Vegas Sheldon Adelson, amicone e finanziatore del tycoon che siede alla Casa Bianca, fa lobby su Abe perché apra le porte alle scommesse: sarà in prima fila alle aste insieme agli altri grandi marchi americani che illuminano il deserto del Nevada (Mgm, Caesars, Hard Rock), cercando di strappare il grosso della torta agli operatori cinesi, malesi e a quelli locali.Tanti dubbi che hanno più volte frenato una legge su cui a Tokyo si dibatteva da tempo, come dimostra la prima scuola nazionale per croupier aperta in città nel 2004. Ora il denaro non puzza più, specie per un’economia che il premier non è riuscito a rianimare: il 30% di tasse che i gestori dei casinò verseranno, sommate agli investimenti edilizi, saranno una manna. Ci vorrà ancora un po’ di pazienza, le licenze dovrebbero arrivare nel 2020, poi partiranno i lavori. Troppo tardi per le Olimpiadi di Tokyo, non per l’Expo del 2025, se come sembra verrà assegnato a Osaka, seria candidata a ospitare uno dei primi tre resort. Les jeux sont faits, il Giappone ha fatto la sua puntata.