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 2018  luglio 23 Lunedì calendario

Il guardiano della Marmolada solitario in vetta e star in rete. «La mia estate sotto la neve»

All’inizio era solo un modo per vincere la solitudine. Per questo Carlo Budel, 45 anni, un operaio appassionato di montagna che dopo vent’anni di lavoro ha mollato il posto in fabbrica per gestire il rifugio più estremo delle Dolomiti, ha cominciato a mandare agli amici le foto e i video di albe, tramonti e nevicate in vetta alla Marmolada.
Certo non immaginava che le sue immagini sarebbero finite sui telegiornali nazionali, sui siti internet dei principali quotidiani e sui social network con decine di migliaia di visualizzazioni. «Può capitare che quassù, a 3.343 metri di quota, sulla vetta più alta delle Dolomiti, arrivi la neve in piena estate – racconta Budel – ma quest’anno è successo così tante volte che su internet gli amici DoloMitici (così si chiama il gruppo) mi incoraggiano: resisti». E lui resiste volentieri, custode solitario di Capanna Punta Penia, antico (e malandato) rifugio d’alta quota, realizzato con i resti delle baracche militari austriache della Grande Guerra, aggrappato alla montagna con otto tiranti d’acciaio, ma quando soffia il vento le lamiere sbattono e sembra che tutto possa volar via da un momento all’altro.
Arrivare a Punta Penia non è semplice: bisogna partire dal passo Fedaia (in valle di Fassa), superare il ghiacciaio della Regina delle Dolomiti, ramponi a piedi e piccozza in mano, poi una breve via ferrata e infine l’ultima salita, con il fiato corto dell’alta quota. «Nei giorni migliori possono arrivare fino a cento persone – racconta Budel – ma quando scende la nebbia non sale nessuno e in caso di bufera può capire di restare bloccati in vetta per giorni e giorni». Ma a lui va bene così: «Resto quassù volentieri, in caso di maltempo ne approfitto per leggere e preparare gli strudel per gli alpinisti che verranno. Questo è il mio sogno da quella mattina in cui mi sono svegliato e mi sono chiesto: la mia vita può essere questa, casa e lavoro tutti i giorni, sempre la stessa strada?».
Il video che racconta la sua storia in pochi giorni ha raggiunto le 150mila visualizzazioni e migliaia di condivisioni di persone che (dalla pianura) sognano la sua vita e si dicono pronti a raggiungerlo lassù.
Pare la replica della lunghissima corsa di Forrest Gump alla ricerca di un senso all’esistenza. Vita dura, in realtà, in un rifugio dove l’approvvigionamento avviene zaino in spalla e per lavare i piatti Budel scioglie l’acqua nella stufa: «Ma quando guardo negli occhi le persone che arrivano in vetta vedo la felicità». Il cellulare? Dipende da quale parte tira il vento: «A volte prende a volte no, quando c’è campo ne approfitto per mandare le mie foto» racconta. Volendo lassù ci sono otto cuccette, ma il più delle volte gli escursionisti tornano a valle e Budel resta da solo in vetta a guardare le Dolomiti dall’alto in basso, erede di una lunga tradizione di uomini di montagna che per anni si sono susseguiti (sempre in solitudine, perché là non c’è altro modo) a gestire la Capanna sul tetto delle Dolomiti.
Su questa vetta dove nel 1911 venne tracciato l’antico confine fra Italia e Austria c’è ora un cippo dell’Istituto geografico militare che segna il confine (ancora conteso, ancora contestato) tra le Province di Trento e Belluno. Una lotta politica per pochi metri tra ghiaccio e rocce che in realtà si spiega solo con una nuova funivia che i trentini di Canazei vorrebbero realizzare per arrivare a Punta Rocca, un’altra vetta della Marmolada, dall’altra parte del ghiacciaio, dove già giunge un’altra funivia che parte dal Veneto. Budel osserva la stazione d’arrivo lontano, in pratica un condominio d’alta quota: «Fosse per me la butterei giù». In quest’estate dove è riesplosa la polemica sui confini è curioso notare che alla guida del rifugio trentino (la Capanna, appunto) è salito un rifugista dal Veneto, cioè lui, Budel, nato vicino a Belluno. Ma a lui i confini interessano poco: «Quassù dice, perdono significato e conta solo la bellezza della natura».