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 2018  luglio 23 Lunedì calendario

Rivalutiamo le escort, sono legali

La giurisprudenza va a puttane in senso quasi letterale: l’onnipotente Corte d’Appello di Milano, infatti, ha deciso di sostituirsi alla Corte Costituzionale e ha stabilito che una professione che pure risulta legale, la prostituzione, è «in contrasto con la tutela della dignità della persona umana» e, anche se «liberamente scelta, non può essere ritenuta una forma di espressione della libertà della persona», anche perché è «contraria al buon costume». Sono tutte opinioni che, beninteso, ciascuno di noi è libero di avere, ma che nel caso di una sentenza (che peraltro ha respinto un ricorso alla Corte Costituzionale atto a stabilire come stiano effettivamente le cose su questo tema) dovrebbe poggiare su qualcosa di diverso dalle convinzioni personali e morali dei giudici milanesi, anche perché il quesito lo capisce anche un bambino: come può, qualcosa di contrario al buon costume e alla dignità della persona, e quindi alla Costituzione, essere anche legale? La Corte d’Appello di Milano l’ha stabilito da sola, sostituendosi alla Consulta a cui era diretto il ricorso che si è premurata di respingere. Che la questione non sia peregrina lo dimostra che lo stesso ricorso che è stato respinto dai milanesi, volto a sollevare una questione di illegittimità costituzionale della legge Merlin, è stato invece accolto dai giudici della Corte d’Appello di Bari che a febbraio hanno deciso di trasmettere i loro atti alla Consulta nel processo sulle escort portate da Gianpaolo Tarantini nelle residenze dell’ex premier Silvio Berlusconi. I giudici milanesi Caroselli-Pirola-Lai, invece, pescando qua e là da altre sentenze della Cassazione, hanno deciso da soli che l’attività delle escort pur «liberamente scelta, non può essere ritenuta una forma di espressione della libertà della persona». La contraddizione è palese, anche se diciamo subito che a interessarci non è il processo da cui trae origine: ossia quello che lo scorso 7 maggio ha lievemente ridotto le pene all’ex consigliere regionale Nicole Minetti e all’ex direttore del Tg4 Emilio Fede; le difese, infatti, avevano anche giocato la carta dell’incostituzionalità della legge Merlin, che da oltre mezzo secolo punisce l’agevolazione della prostituzione di donne che pure, «volontariamente e liberamente», hanno scelto «di offrire il proprio corpo in cambio di denaro o altre utilità».

PROBLEMA TASSE
Ci interessa questo. Infatti la prostituzione in Italia è legale ma non legalizzata (nessuno ci paga una lira di tasse) e la classe politica da oltre cinquant’anni tratta la questione come un banale problema di arredo urbano, anche se un paese moderno dovrebbe appunto chiedersi per quale ragione migliaia di persone che svolgono un mestiere legale non dovrebbero pagare le tasse; si tratta di decidere se sia più immorale che una prostituta paghi le tasse oppure che non le paghi, ma l’imbarazzo impedisce alla classe politica e alla società civile di occuparsene come altre nazioni hanno fatto. Talché, per dirla crudamente, la vacanza della politica lascia legiferare la magistratura anche sulle puttane. La Corte di Milano sancisce proprio quello che dovrebbe precisare e meglio dipanare la Corte Costituzionale: «L’iniziativa economica privata», scrivono i milanesi, citando l’articolo 41 della Carta, «non può svolgersi in modo da arrecare danno alla dignità umana». Eppure si svolge ed è legale.

L’ILLEGALITÀ È ALTRA
A essere illegale è altro: per esempio gli atti osceni – reato oltretutto depenalizzato di recente – ossia fare sesso con una escort in luogo pubblico; oppure indurre alla prostituzione e sfruttarla partecipando agli utili. Ma è legale fare sesso con prostituta purché non in luogo pubblico: sia penalmente che civilmente, perché non scattano sanzioni. Non si può intralciare la circolazione stradale, non si può muovere contenziosi da una parte o dall’altra (il contratto è nullo, non si può far causa) e non ci si può agghindare indecorosamente per strada. Non si può neanche forzare le cose, perché qualora lei dovesse rifiutarsi, per qualsiasi ragione, si potrebbe configurare il reato di violenza sessuale senza la minima attenuante per il violento. Eccetera. Molti Paesi europei e occidentali tendono a trovare una forma adatta di regolamentazione della prostituzione, altri invece l’hanno già trovata e la praticano da tempo, altri, ancora, fanno finta di niente come noi italiani che lasciamo mano libera alla magistratura senza che la politica osi metterci becco: e le convinzioni morali del singolo giudice diventano interpretazione di legge. Il gradino successivo sono gli stati di matrice islamica, che tendono alla proibizione assoluta con leggi repressive che possono arrivare alla pena di morte. Ma la prostituzione, lì, non è legale. Da noi sì.