Corriere della Sera, 23 luglio 2018
Soffia Goggia raccontata dal padre
Del carattere che avrebbe avuto sua figlia si è fatto un’idea precisa quando era piccolina, camminava appena. «L’avevamo messa nel seggiolone per la cena. Me la ricordo ancora con la tutina, il bavaglino e la ciotola con la pappetta. Lei stava prendendo il cucchiaio, ma io ho fatto prima e mi sono avvicinato per imboccarla. A quel punto ha emesso un urlo stizzito, mi ha strappato con violenza il cucchiaio e ha strillato: “Io!”. Ecco, già da allora, lei è una che si appropria della sua vita con una personalità intensa, individualista, forte».
Il papà che racconta si chiama Ezio e la piccola tiranna è Sofia Goggia, 25 anni, oro olimpico in discesa a Pyeongchang, Coppa del mondo di specialità ad Åre e record di podi in una stagione (tredici, quattro in più di Deborah Compagnoni). Il signor Ezio, ingegnere e pittore, non si capacita di questa figlia «che fa cose speciali» («Tante volte mi chiedo perché è capitato a noi, cosa abbiamo fatto di più o di meno») e su cui riesce a scherzare («È scorpione ascendente scorpione: doppiamente velenosa!»). Ne parla come un padre orgoglioso e schivo, che si arrende all’evidenza riflessa negli occhi: «I figli sono tutti uguali, ma ognuno è diverso». Belle, il pastore australiano di Sofia, approva sotto il tavolo.
Ezio Goggia va a memoria, ricordando per esempio di quando accompagnava la sua bambina a sciare portandosi il cavalletto e i pennelli nello zaino. «Lei si allenava, io dipingevo i paesaggi». O, ancora più indietro, di quella volta che la figlia era stata talmente capricciosa che aveva dovuto rinchiuderla nella cantina. «Ma era solo un atto dimostrativo, eh. Non vorrei che Telefono Azzurro mi venisse a cercare...». Anche se ammette di non essersi contenuto il giorno in cui Sofia gli sparì da sotto al naso, in una piazzetta di Foppolo, per andare a mangiarsi il panettone da un’amica di famiglia. «Detto così sembra normale, ma aveva tre anni! Passai un’ora di paura. Quando la ritrovammo, prima di suonargliele, le chiesi perché se n’era andata. E lei, tranquilla: “Ero a mangiare il panone”. Non la spaventava nulla».
Della carriera sportiva di Sofia conosce ogni dettaglio. «Sua mamma l’andava a prendere a scuola con un panino e la accompagnava al pullmino degli allenatori che partivano da Bergamo». Le gare, a quei tempi, le guardava a metà pista: «La volevo vedere scendere, non mi importava del traguardo». Oggi, invece, c’è il maxi schermo. «Abbiamo una tivù bella grande. La discesa dell’oro in Corea l’abbiamo vista sul divano, avevamo messo la sveglia alle tre. Il cuore mi batteva forte. Fino alla sera prima ero in ansia, aveva già fatto un errore in SuperG e alle prove era arrivata quindicesima, non sapevo che era una strategia per non farsi copiare le linee. Quando l’ho vista tagliare il traguardo ho detto: è podio! Poi sono arrivate le telefonate, fino alle cinque del mattino. Io e mia moglie abbiamo dormito un’ora!». Confessa di riguardarla spesso sul telefonino, anche se la sua gara «perfetta» è quella della discesa libera di Bad Kleinkirchheim a gennaio: «Ha sciato con una prepotenza... Mi fermo al fotogramma su una curva dove aveva un’inclinazione impossibile...».
Non è stato tutto facile. «Il primo intervento al ginocchio lo ha fatto a 13 anni: Milano, la riabilitazione, Sofia depressa. Ho cercato di aiutarla, di fare da riequilibratore». Sua moglie Giuliana, insegnante di lettere in pensione, lo accusa di darle tutte vinte alla figlia. Ma come non capire il papà quando racconta del selfie di Sofia con una trota gigante pescata nel torrente? «Abbiamo una baita sopra Cogne: ci si arriva a piedi, non c’è corrente elettrica, televisione, niente. Non le avevo mai insegnato a pescare. Quando mi ha mandato la foto con la scritta “degna figlia di Ezio” mi sono emozionato».
Un po’ meno contento è stato il giorno in cui lei gli ha fatto trovare in casa il fidanzato di allora, Chris. «Mica sapevo che stava filando con questo. Mi chiama e dice di tornare che c’è una sorpresa. Lascio tutto e vedo parcheggiato un pullmino con la scritta “Ski Team Austria”. Pensavo fossero alcune colleghe, la Coppa Europa aveva chiuso il giorno prima. E invece mi trovo uno magro, alto, con i baffetti e un po’ di barbina. “Lui è Chris”, fa Sofia. “Lui è Chris?”, mi ripetevo dentro. A tavola gli parlo dei Lieder di Schubert e di Strauss. Dopo cena glieli faccio ascoltare. Poi mia figlia dice: “Beh, noi ci ritiriamo...”. Io ingoio il rospo e con il mio tedesco dico a Chris: “Keine klein kind”, nessun bambino piccolo. Quando Sofia lo capisce esce fuori dalla stanza e urla: “Papààààà!”».
Solo un rammarico gli resta: «Quando lei e il fratello erano piccoli gli avevo insegnato a pasticciare con l’acquerello, conservo i loro disegni. Poi però quando sono andati a scuola non sapevano più fare nemmeno la “O” con il bicchiere».