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 2018  luglio 22 Domenica calendario

Oscurati dai big di governo. Le vite degli altri ministri tra leggi e finte rivoluzioni

E poi ci sono le vite degli altri, ancora nello sbalordimento dell’esordio assoluto. Il ministro della Cultura, per esempio, ha scoperto in questi giorni che i fori sono due: il foro romano e i fori imperiali (e poi scoprirà che uno è controllato dalla soprintendenza e l’altro dalla sovrintendenza, che sono due cose spettacolarmente differenti). E dire che Alberto Bonisoli è un Cinque Stelle atipico, addirittura bocconiano. 
Addirittura con delle competenze settoriali, poiché viene dalla direzione della Nuova accademia di belle arti di Milano. Tutta l’ombra che gli cala addosso, oscurato come ogni collega secondario da quei rapaci della quotidianità che sono Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e dagli altri che si tirano dietro: Danilo Toninelli e Giovanni Tria e Alfonso Bonafede eccetera. Ma con l’ombra arriva anche la frescura, per fortuna. Nessuno si è accorto che Bonisoli ha confermato il bonus cultura per quest’anno e il prossimo (e dal 2020 sarà strutturale), cioè i 500 euro ai diciottenni che per Di Maio fu il modo con cui Matteo Renzi contava di comprarsi il voto dei ragazzi. Si sa che l’azione distrugge l’utopia: quando dalla campagna elettorale si passa al comando, tocca essere concreti. E dunque Bonisoli sarà probabilmente un buon ministro della Cultura, come promette bene Marco Bussetti (area Lega) che dall’Istruzione non guarda più così storto la buona scuola: «Manterrò ciò che funziona». Un passo diverso dall’«aboliremo la buona scuola» di Salvini, lo scorso gennaio. Né scandalo né sorpresa, succede così da sempre: nel 1994 Bobo Maroni entrò al Viminale promettendo di aprire gli armadi, e quando ne uscì gli chiesero: com’erano quegli armadi? «Vuoti, accidenti».Sono le vite degli altri. Muovono i primi passi sul terreno sdrucciolevole del governare. Guardate che succede a Barbara Lezzi, nata a Lecce, cresciuta alla politica sui campi della Tap (il gasdotto transadriatico), e cioè nelle barricate per gli ulivi e contro il modernismo multinazionale e antiecologico (nell’opinione delle Stelle). L’altro giorno era arrivata all’Università leccese col figlio di tre anni in braccio («Le donne capiranno», e figuriamoci, capiamo benissimo anche noi uomini) ma non ha raddolcito i contestatori armati di sdegno: vergognati, le hanno scritto su uno striscione. Perché, siccome l’azione distrugge l’utopia, anche l’irriducibile Lezzi è andata a sbattere contro un contratto (non di governo) in vigore da cinque anni, e prevede un gasdotto che arriva in Italia dall’Azerbaigian attraverso Turchia, Grecia e Albania, e fa ruotare denari e profitti, presumibilmente per tutti. Ancora poco più di un mese fa la Tap era «inutile, vecchia e dannosa», e siccome adesso invece bisogna vedere, bisogna valutare, bisogna ponderare, Lezzi è stata incasellata dai vecchi compagni di lotta alla voce «traditrice». Bella la vita di uno come Vito Crimi, sottosegretario con delega all’editoria, impegnato a sottrarre all’odiata stampa sovvenzioni già sottratte: lì si può restare alla festa di piazza, con sotto il popolo giubilante in attesa della liberazione. 
Mica tutti stanno col sedere nel burro come Crimi. Lo si dice con prorompente simpatia, a esempio nei confronti di Giulia Grillo, dunque grillina di suo, medico e ministro della Salute, buttata in mezzo all’utopia No Vax e se la vedesse lei. Se l’è cavata con l’obbligo vaccinale degli scolari per autocertificazione dei genitori, cioè il nulla, di modo che si sono arrabbiati tutti, e specialmente i No Vax che devono scegliere se vaccinare i figli (orrore) o mentire (orrore, ma forse meno). Intanto Grillo cerca un nuovo direttore dell’Aifa, l’agenzia del farmaco, col disastro di non sforare il tetto dei 240 mila euro annui di retribuzione, il che fortemente disincentiva i migliori: l’attuale, Mario Melazzini, bravissimo e malato di Sla, si presta per vocazione. Chissà, magari verrà l’idea di confermarlo, se di nuovo l’azione prevarrà sull’utopia, il merito sulla sobrietà più punitiva. L’utopia resta un lusso per alcuni, che se la giocano in allegria. Riccardo Fraccaro, ministro dei rapporti col Parlamento, e delegato alla democrazia diretta, si è venduto come capolavoro rivoluzionario («Siamo entrati nella Terza Repubblica», l’annuncio con concerto di trombe) l’abolizione «dell’imposta di bollo sulla democrazia diretta». Traduzione: la tassa di occupazione di suolo pubblico per banchetti e gazebo di chi raccoglie firme per referendum e iniziative di legge popolari. Una cosa ottima, in effetti, molto simbolica e giustamente simbolica, sebbene nemmeno i radicali – che di morigeratezza e di referendum ne sanno parecchio – siano in grado di quantificare il risparmio: «Non è mai stata una voce minimamente rilevante», dice Sergio D’Elia. 
Per il resto non c’è molto da segnalare, anche se non intendiamo sottovalutare la rettitudine di Giulia Bongiorno (Pubblica amministrazione, quota Lega) decisa a prendere le impronte digitali degli impiegati per incenerire l’assenteismo. E non intendiamo sottovalutare la battaglia delle idee, che ha contrapposto il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, e il delegato alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora, a proposito dei diritti gay: il primo a sentirne parlare è vittima di svenimenti, il secondo giura che non saranno toccati, e tanto ardire è stato derubricato a «opinione personale». O che ha portato il sottosegretario alla Giustizia, Jacopo Morrone, a sognare l’eliminazione delle «toghe rosse» (poi ha precisato: è solo un’opinione personale). O che, infine, ha imposto al presidente della Camera, Roberto Fico, uno scatto d’orgoglio: «Non chiuderemo mai i porti» (e stavolta è rientrato Salvini: è solo un’opinione personale). Guarda un po’ quanto rassomiglia all’utopia, l’opinione personale.