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 2018  luglio 21 Sabato calendario

Caravaggio rischia la forca e la paura si fa meraviglia

Inseguendo le vicissitudini del pittore italiano forse più famoso del Barocco, Alex Connor raggiunge con Maledizione Caravaggio un equilibrio narrativo che si divide tra storia, fiction e caratterizzazione di un elemento spesso tralasciato nei romanzi dedicati agli artisti realmente vissuti: l’interpretazione del loro spirito.
È la tarda primavera del 1606 quando il turbolento Michelangelo Merisi, già reso immortale da capolavori come Giuditta che taglia la testa a Oloferne e Amor vincit omnia, resta coinvolto in un duello che porterà all’uccisione di Ranuccio Tomassoni. Fatto storico, questo, che farà piovere sulla testa dell’artista la condanna al bando capitale. È dunque con l’anima di un uomo braccato, ossessionato dalle paure della pena di morte e di essere tradito, che la Connor deve approcciarsi per stendere un romanzo che ci conduce dalla Roma delle ville nobiliari e dei postriboli alla Napoli dei pittori, delle inattese amicizie e dei nuovi committenti, fino allo sbarco a Malta, presso i cavalieri di San Giovanni, e poi in Sicilia.
La ricetta della scrittrice britannica è semplice ma allo stesso tempo efficace: alternare lo scorrere degli eventi storici a veri e propri flussi di coscienza attribuiti allo stesso Caravaggio. Proprio grazie a questi frammenti introspettivi, che emergono nei momenti clou della vicenda sotto forma di monologhi, entriamo in contatto con la personalità di un uomo toccato sia dalla grazia, sia da un’incontenibile e quasi folle inquietudine.
È probabile che Stevenson resterebbe affascinato dal dualismo jekylliano di Michelangelo Merisi, tanto abile con la tavolozza del colore quanto con la spada e col pugnale. La Connor descrive quest’anima scissa con la consueta abilità di cui ha già dato prova nei suoi precedenti romanzi, molti dei quali dedicati al medesimo personaggio. Qui, però, la drammaticità giunge all’acme andando a delineare eventi che, di fatto, sembrano davvero orchestrati da una maledizione. Caravaggio infatti si ritrova nel momento più disperato della sua vita, costretto a un esilio che tuttavia non riesce a soffocare il suo talento. Anzi! È come se il pittore abbia saputo intingere il pennello nello stagno dell’angustia per realizzare il commovente Sette opere di misericordia, insieme a una formidabile produzione di opere che, nonostante l’infamia del delitto, riuscì a conferirgli nuova fama. E nuovi nemici.
Il genio artistico, intrecciato a un temperamento collerico e orgoglioso, fu forse la causa prima delle sciagure ricadute su un artista che godette di amicizie influenti quali il cardinal Francesco Maria del Monte e la marchesa Costanza Colonna. Amicizie cui, in un perfetto gioco di chiaroscuri, si contrappongono le figure di Scipione Borghese e della meretrice Fillide Melandroni, animata dall’amore e dall’odio per Caravaggio.
Del resto, il romanzo di Alex Connor non può che svilupparsi secondo una logica dicotomica, ovvero un continuo alternarsi di luci e ombre. Proprio come si ritrova nello stile del Merisi, avvezzo a dipingere nel buio più completo, col solo ausilio di un lume che potesse fugare la tenebra quel tanto da non turbare la dimensione onirica dell’ispirazione. E del suo malsano bisogno di ricercare lo splendore della grazia nelle taverne e nei vicoli più bui di Roma e di Napoli. Dentro gli occhi di un popolo di straccioni, prostitute e canaglie. Occhi in cui, molto più che in quelli dei porporati e delle dame degli alti palazzi, Caravaggio riusciva a vedere la pietà, la paura e la passione. Sentimenti autentici che questo romanzo ci sa regalare.