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 2018  luglio 22 Domenica calendario

Il robot è ancora un gattino cieco

Una delle grandi menti dietro la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, fra i "padri" delle reti neurali e degli algoritmi che ormai gestiscono il mondo. Di Yann LeCun, bretone di 58 anni e professore alla New York University, si sa che per averlo al suo fianco Mark Zuckerberg ha fatto carte false. Meglio: ha accettato che i laboratori che lui avrebbe diretto, Facebook Artificial Intelligence Researchers ( Fair), puntassero solo a fare ricerca pura. LeCun, aria molto pacata e sorriso gentile, è un’autorità in quello che viene definito " machine learning", vale a dire l’apprendimento delle macchine di nuova generazione. E a differenza di altri colleghi, alle profezie sull’avvento delle macchine e la fine dell’umanità, preferisce guardare ai fatti.

Professore, dell’intelligenza artificiale si dice che in futuro potrà fare tutto riproducendo ogni nostra funzione cognitiva. È davvero così?
«Ci sono degli ostacoli grossi. Il più importante a mio parere è l’incapacità delle macchine di apprendere come noi apprendiamo. A noi basta guardare il mondo per assimilare conoscenza. Quella acquisita in un certo campo la applichiamo poi facilmente a un altro. Vediamo una mela cadere, intuiamo che anche un bicchiere se spinto oltre il bordo del tavolo cadrà. Le macchine possono apprendere a svolgere un certo compito e arrivano a farlo in maniera ineccepibile, ma richiede una grossa quantità di dati. Mentre per noi guidare una macchina significa fare venti ore di pratica, un AI deve " studiare" migliaia di ore».
Poi però diventano molto più brave di noi. Basti pensare alla vittoria di AlphaGo sul campione mondiale di "Go" a Seul.
«Anche in quel caso l’intelligenza artificiale si è allenata nell’arco di alcuni mesi giocando più partite di quante l’umanità ne ha giocate in tutta la sua storia. E poi tutti dimenticano che noi siamo poco abili con il Go. È invece un gioco perfetto per esaltare le specifiche capacità di calcolo di un computer. È una vittoria importante, ma resta un fatto: un bambino dopo i primi sei mesi comincia ad apprendere le leggi fondamentali del mondo e a prevedere il comportamento di cose e fenomeni, una macchina non lo sa fare».
È questa la vera natura dell’intelligenza umana, guardare il mondo e intuirne le leggi?
«Direi che è l’abilità di prevedere il comportamento delle cose, avendo capito le leggi fondamentali del mondo attraverso l’osservazione. E di agire di conseguenza».
Tanti stanno cercando di simulare la struttura del nostro cervello. Tentano di costruire la mente digitale.
«Senza conoscere i dettagli che determinano il funzionamento della nostra mente, è inutile cercare di riprodurla in digitale. Ne sappiamo ancora poco e in ogni caso non è detto che per raggiungere una mente digitale serva costruirla davvero come il nostro cervello».
Il neuroscienziato Giulio Tononi pensa che nel sonno stia il segreto della nostra abilità di acquisire conoscenza. Il sonno senza sogni e coscienza permetterebbe alle esperienze fatte durante il giorno di esser integrate con quelle fatte prima in un mosaico coerente. È il pezzo che manca alle macchine?
«Forse. Ma di nuovo: non servono le piume per far volare un aereo. La natura, la nostra in particolare, può esser fonte di ispirazione ma non è detto che poi la soluzione sia copiarla ».
Dunque siamo lontani dalla vera intelligenza artificiale?
«Difficile dirlo. Nella scienza spesso e volentieri non si tratta tanto di trovare soluzioni quanto di farsi le giuste domande. Non mi sembra che questo stia accadendo. Ma le posso dire che se non faremo dei passi avanti tutti coloro che stanno finanziando la ricerca sulle AI smetteranno di farlo (ride, ndr)».
E cosa sperano di ottenere i governi e gli investitori privati?
«In generale le persone vorrebbero un robot capace di rassettare, mettere i piatti sporchi nella lavastoviglie, fare le compere, assisterci come una vero segretario. Ma non abbiamo la tecnologia per farlo, né l’abbiamo per creare un assistente personale che sia in grado di capirci e che possa riservare un tavolo per noi al ristornate. Ci vorranno decenni probabilmente per risolvere questi problemi».
Ma allora i timori di Elon Musk per la fine del mondo?
«Ho parlato con lui due o tre volte. Non vuole capire, si rifiuta di farlo. Credo sia consigliato dalle persone sbagliate che gli hanno presentato un quadro poco accurato dello stato della ricerca in fatto di AI. Si tratta di strumenti che ci aiutano ad amplificare le nostre capacità e non credo che ci troviamo davanti alla singolarità come profetizza Raymond Kurzweil. È fantascienza».
A proposito: quali sono i film che preferisce parlando di AI?
«2001 Odissea nello Spazio mi ha molto ispirato. Non è accurato, non quanto Lei. Credo che sia possibile che, una volta che le AI avranno un’intelligenza generale come la nostra, si possa sviluppare un rapporto del genere. Ex Machina al contrario è molto irrealistico. Nel film c’è questo grande scienziato a capo di una grande compagnia che in solitudine sviluppa il robot perfetto. È impossibile. Per questo nessun laboratorio militare è avanzato come i nostri. In questo campo i progressi si fanno condividendo e non tenendosi i segreti. Senza dimenticare che nessuno scienziato sarebbe così pazzo da non condividere una grande scoperta».
Eppure non serve una super intelligenza per sviluppare armi letali del tutto autonome.
«Certo. Ma molte armi sono state bandite. Pensi alle mine: sono così stupide che non riescono a distinguere il nemico ed esplodono con il rischio di uccidere civili. Il vero problema delle armi, mi vien da dire, è che non sono abbastanza intelligenti».