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 2018  luglio 22 Domenica calendario

Ci mancavano i 4 moschettieri. Intervista a Giovanni Veronesi

Un romanzo d’appendice al posto del cinepanettone. Giovanni Veronesi rilegge Alexandre Dumas guardando a Monicelli: promette grande libertà comica dentro una cornice storica accurata. I suoi quattro moschettieri trent’anni dopo sono divisi, cinici e disillusi. Si ritrovano insieme, loro malgrado, richiamati dalla Regina Anna per salvare la Francia dalle trame del Cardinal Mazzarino, per la libertà degli Ugonotti e la salvezza di un giovane dissoluto Luigi XIV. Il film si chiama Moschettieri del re. Penultima missione, in sala il 27 dicembre.
Quando sono entrati nella sua vita i tre moschettieri?
«Durante un Carnevale in cui mia madre ebbe la sfortunata idea di vestirmi da D’Artagnan, non ero bello e nessuno mi prese sul serio. Avevo otto anni, di lì a poco mi regalarono un libro illustrato di moschettieri, che mi ha accompagnato sempre. Lessi il romanzo a fatica, me lo aspettavo più leggero, invece è tosto e affronta il politico e il sociale. Mi è ricicciato fuori l’anno scorso, mentre pensavo a quali supereroi avrei voluto raccontare, ho riletto il romanzo con lo storico Nicola Baldoni. In un momento come questo è interessante affrontare quel periodo dell’Europa in cui le grandi tragedie umane a cui assistiamo oggi esistevano all’interno dei grandi stati, Germania, Francia, Inghilterra. L’Europa era divisa da guerre di religione che duravano cent’anni. Mi è saltato agli occhi quanto la storia si ripete nei secoli, negli stessi posti, magari a distanza di mille chilometri da qui alla Francia nel Seicento succedeva la stessa cosa, le religioni che hanno sfondato il mondo, e questa è una cosa che fa pensare».
Si riferisce alla persecuzione degli Ugonotti?
«Sì. Tra Richelieu e Mazzarino ne hanno torturati centinaia di migliaia. Erano l’unica categoria, come gli ebrei in Germania, che pagava le tasse, e che era super efficiente come commerciante. Non se ne potevano liberare del tutto e allora preferivano torturarli e convertirli al cristianesimo, piuttosto che lasciarli fuggire. E questi scappavano con le barche, come topi nelle navi, verso l’America e non solo in direzione dell’Inghilterra, che era più vicina ma a rischio guerra, perché questo dissidio religioso Francia e Inghilterra l’hanno sempre avuto e quindi raccontarlo oggi mi sembrava giusto, anche se il tono del film è ironico. Così mi sono messo in casa i quattro moschettieri e li ho fatti parlare come me e agire come avrei agito io al loro posto, sono supereroi nostrani che mi fanno molto ridere».
Come sono i suoi moschettieri quindi?
« Innanzitutto, e mi par strano che nessuno lo abbia fatto prima, li racconto come un corpo speciale di tiratori scelti. Del resto si chiamano moschettieri
perché si occupavano di moschetti. Ne avevano quattro costruiti apposta per loro, con una forcella lunghissima. Erano una sorta di James Bond dotati della tecnologia più all’avanguardia dell’epoca, spade a doppia lama, polvere da sparo nel pomello della sella. E il pisto-pugnale, che ho fatto ricostruire, un pugnale con piccola pistola nascosta dietro con cui sparavano a sorpresa. Erano mandati in avanscoperta, a fermare l’avanzata dei nemici. E io li racconto sessantenni in una missione che mi sono inventato io ma che è simile a quelle che gli erano date. Pierfrancesco Favino è D’Artagnan, spirito guascone e gomito dello spadaccino: abbandona moglie e figlie appena la Regina Anna, Margherita Buy, lo richiama in missione, perché ne è segretamente innamorato. Valerio Mastandrea è un Porthos che ha perso 32 chili, va avanti a laudano, Sergio Rubini è un Aramis frate inseguito da debitori, Rocco Papaleo un Athos castellano dedito ai piaceri. Andando in là nel tempo ho trovato personaggi poco visti come il potentissimo Mazzarino, Alessandro Haber. Al posto di Luigi XIII, marito di Anna d’Austria, c’è Luigi XIV ragazzino che scalpita al Louvre, perché si sente stretto e sogna Versailles».
Tutto questo accade in una Francia immaginaria ricostruita in
Basilicata.
« Fin da subito abbiamo stabilito che la cornice doveva esser vera, il Seicento andava ricostruito come pensavamo che fosse, sudicio, sporco, con una differenza di classe clamorosa, dal lusso del palazzo Reale alla povertà delle strade. E per questo gli attori hanno lavorato per essere credibili nei combattimenti a cavallo. Le controfigure usate il minimo indispensabile. Dentro la cornice c’è una commedia basata sulla dinamica dei personaggi: fondamentalmente i moschettieri non si sopportano più, come le grandi vecchie coppie alla Stanlio e Ollio, Ciccio e Franco….».
Riferimenti cinematografici?
« Tutti amano il film con Gene Kelly, un’americanata che non mi piace. La versione migliore è quella del 73 con Oliver Reed, è più realistica. Ma in genere sono film fumettistici, infantili, disneyani. La mia Francia non è la vera Francia, è frutto di fantasia, ma è un Seicento rozzo, duro, cattivo. Per questo film ho guardato più ad Amici miei che ai moschettieri di Dumas. Anche se spero che dopo aver visto il film qualche ragazzino si vada a rileggere il romanzo, magari in qualche versione illustrata che restituisca il sapore di quell’epoca ».
Il segreto del successo longevo dei moschettieri?
«Si muovono per un’idea di pace e giustizia, non fanno quello che fanno per soldi. E poi sono realmente esistiti, non sono frutto di leggenda. Erano le guardie speciali del re, conoscevano i segreti più oscuri di corte e con coraggio e lealtà districavano intrighi, combattevano nemici di tutti i tipi. Athos e Aramis erano delle persone colte, parlavano inglese e spagnolo. Erano personaggi affascinanti, non degli ignoranti alla Rambo. Vivevano accanto ai regnanti e avevano la loro fiducia».
In realtà lei aveva già tentato di portarli al cinema.
«Lo dissi a Francesco Nuti negli anni Ottanta: “ Quanto sarebbe bello se tu, Benigni, Troisi e Verdone faceste i moschettieri in un film”. E lui ci provò un po’, ma poi non se ne fece nulla. Verdone come Porthos, Benigni Aramis. E per i ruoli di Athos e D’Artagnan ci sarebbe stato da lottare: Massimo e Francesco erano due belli.... Ma sono felice dei miei moschettieri attuali, sono eccezionali».
I suoi momenti preferiti del film ?
« Quelli che dissacrano il romanzo. Ad esempio il motto “ Tutti per uno, uno per tutti” non si può dire più perché ha portato sfortuna. Ci sono tanti colpi di scena legati al passato. E poi quando Aramis litiga con gli altri tre e disquisiscono su cosa significa uccidere un uomo a sangue freddo, torturarlo. All’epoca era considerato normale, D’Artagnan dice: “ Ma se non si può fare tutto questo allora andiamo a casa, che dobbiamo fare?”. Mi piace l’idea che questi eroi di un’epoca lontana si ritrovino a parlarne, facendo capire che se ti poni il problema sei già avanti. Tutto questo però resta in secondo piano, perché ho fatto principalmente un film d’avventura e risate per famiglie, e l’ho fatto scomodando la fantasia. Spero di proseguire su questo filone: se c’è una cosa che mi spinge a fare il mestiere è questo mettere da parte la realtà e usare la fantasia, e poi all’interno della fantasia metterci la realtà».