La Stampa, 21 luglio 2018
La vita d’inferno dei creatori di manga
C’è un detto tra gli artisti manga giapponesi: se non hai successo è un inferno, se invece hai successo fai una vita d’inferno. Sembrano condurre la più eccentrica e invidiata delle esistenze, disegnare quello che la propria immaginazione gli suggerisce e poi vendere a milioni di persone questo loro capriccio di visione. Alcuni saranno venerati al pari di star hollywoodiane tanto che molti sono indotti a pubblicare esclusivamente sotto pseudonimo (la privacy in Giappone è una cosa seria).
È questa la fotografia dell’artista manga che aleggia nell’immaginario collettivo. Eppure se li si osserva da vicino le loro esistenze appaiono tutt’altro che invidiabili. A cominciare proprio da quella popolarità, chimera di ogni artista, che non è solo questione di talento e fortuna, il classico uno su un milione ce la fa, il successo anche quando è faticosamente e meritatamente conquistato risulta crudelmente effimero. Un giorno puoi brindare per la pubblicazione del tuo primo tankou-bon (libro serializzato) ma due mesi dopo scoprire che la tua serie è già stata cinicamente «segata» perché ha mancato di generare sufficiente interesse nel sempre più ridotto arco di tempo che l’industria del fumetto è disposta a concedere agli esordienti. Il mercato giapponese dei manga è saturo di autori che competono per ritagliarsi un proprio spazio tra una miriade di generi e sottogeneri. Il manga sta vivendo quella stessa metamorfosi epocale che ha già rivoluzionato la musica, nel passaggio dalla composizione analogica a quella digitale, i costi della lavorazione si sono ridotti e i tempi di produzione accorciati: il risultato è una proliferazione di artisti mai vista sinora e il conseguente, matematico, delirio di onnipotenza in cui è «precipitato» il lettore che si trova a disposizione migliaia di prodotti a un costo irrisorio e proprio per questo non sa più che pesci prendere, ergo il declino delle vendite delle singole opere. Chi può tenta di aprirsi a un nuovo pubblico di lettori anche perché oggi con internet tutto questo è diventato possibile.
«Recentemente è nato un interesse dei fumettisti giapponesi per il mercato europeo, non solo francese ma anche italiano», dice Ihara Tatsuya, 51 anni, che insegna tecnica del disegno sia in Giappone che in Italia dove viene due volte l’anno. Nella Penisola il mondo dei fumetti è ancora un passatempo per una ristretta nicchia di lettori ma sta costantemente crescendo anche se è molto lontano dai livelli non solo del Giappone, o degli Stati Uniti ma anche dalla Francia (il settore giapponese vale 4 miliardi di euro, quello americano 850 milioni, quello francese 460 milioni, quello italiano si stima appena 200).
Nonostante non spremi che pochi yen dal suo lavoro di artista Ihara-san sgobba infaticabile su lenzuolate di fogli (Ihara fa parte di quello zoccolo duro ancora legato alla tradizione cartacea del disegno) dalle sette di mattina sino a sera senza praticamente interruzioni vere che non siano il pasto quotidiano o la lettura di qualche manga, anche perché un fumettista è prima di tutto un fan degli altri artisti con i quali è cresciuto e dai quali ha preso ispirazione. La maggior parte degli artisti manga si occupa di ogni fase della creazione del fumetto: la scrittura, il layout, il disegno a matita, l’inchiostrazione. Per i professionisti che devono rispettare rigorose scadenze sono troppe mansioni per essere svolte da una singola persona per quanto talentuosa e infatti chi può è costretto ad assumere degli assistenti (ecco spiegata la «scorciatoia» nell’uso del digitale).
Gli artisti manga affermati possono incassare anche milioni di euro, ma sono una percentuale microscopica rispetto alla grande massa degli autori che non hanno ancora pubblicato la loro prima opera o che riversano online gratuitamente il proprio materiale nella speranza che venga «scoperto». Eichiro Oda padre del bestseller «One Piece» ha incassato la bellezza di 13 milioni di euro in un solo anno (Cavani al Psg ne guadagna «appena» 10). Ovviamente un artista come Oda può permettersi di assumere molti assistenti e dedicare più tempo sui contenuti delle storie. Tuttavia nonostante lo staff di supporto molti artisti già famosi per tenere il passo con la voracità di lettura del proprio pubblico lavorano ossessivamente dalle 5,00 alle 2,00 del mattino sette giorni su sette (l’inferno da cui siamo partiti).
«Gente come Oda sono l’eccezione, non la regola», ci ricorda Hidari Shinnosuke, quarantenne autore di manga di fantascienza che sogna il grande balzo tra i professionisti da almeno dieci anni e che ripudiando con fierezza di cedere alla grigia sussistenza del salaryman per la sopravvivenza più contingente si è risolto ad affittare una stanza della vecchia casa dei genitori tramite un noto sito di house-sharing: «A meno di clamorosi trionfi la maggior parte degli artisti può contare solo sulle royalties dei singoli libri che vende o sui circa 13.000 yen (100 euro) a pagina se pubblica su delle riviste settimanali il che è appena sufficiente per sopravvivere».
Le royalties medie di un artista manga professionista, ovvero colui che è riuscito a pubblicare almeno un libro, è pari a uno stipendio medio-basso (addirittura gli assistenti negli studi di animazione guadagnano appena mille euro mensili), insomma abbastanza per vivere ma senza comfort, e stiamo parlando di quella minoranza di artisti che ha raggiunto comunque un appetibile traguardo.
«Il punto è che l’artista manga è interessato solo al proprio lavoro non al successo economico», taglia corto Hidari-san, «i fumettisti vivono per le proprie opere e sono orgogliosi di quello che fanno. Certamente c’è chi ci rimette in salute, infatti neanche il più appassionato degli autori lo definirebbe uno stile di vita sano». Non è dunque un caso se statistiche alla mano la maggior parte dei fumettisti si arrende ancor prima di aver pubblicato un solo libro.