La Stampa, 21 luglio 2018
Ad armi pari
Forse ha ragione Massimo Bordin quando, da Radio Radicale, osserva che l’aspetto abnorme della querela di Matteo Salvini a Roberto Saviano è il parallelo storico. «Ministro della Malavita» fu l’appellativo che Gaetano Salvemini rivolse a Giovanni Giolitti – con un libro, allora non usavano i tweet – prima che Saviano replicasse con Salvini. I due contemporanei saranno abbastanza di mondo per comprendere che la loro statura, per quanto ragguardevole, è per ora distante da quella dei predecessori. Certo, non sono aiutati dallo scandalo che accompagna la contesa. Il Pd in particolare è infiammato dalla novità di un ministro che querela un giornalista (su carta intestata del Viminale!), evidente segno – sostengono – di intimidazione squadrista. Si sono scordati della volta in cui il premier querelò un vignettista: il premier era Massimo D’Alema e il vignettista Giorgio Forattini. Pure chi scrive questa rubrica è stato nobilitato da una querela di Maria Elena Boschi, allora brillante sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Silvio Berlusconi diede mandato di querelare Repubblica e Romano Prodi lo fece col Giornale, entrambi da Palazzo Chigi. Diciamo che, se c’è da menare, le distanze ideologiche si assottigliano. Un buon modo per ridurre controversie e tempi della giustizia sarebbe di tornare ai bei tempi antichi, quando ci si dava appuntamento all’alba – ad armi pari, però, spada o pistola – dietro al convento dei Cappuccini. Allora i politici la pianterebbero di indignarsi dall’opposizione e di picchiare dal governo (quanto a noi, Maria Elena, potremmo vedercela al Monopoli).