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 2018  luglio 21 Sabato calendario

La chiarezza delle evidenze

E V I D E N Z E L’ evidenza non ha mai ingannato tanto come fa da quando si è messa inopinatamente a significare qualcosa che non si capisce bene se è la prova o l’indizio. È un uso che viene dall’inglese (pure questo, eh già) e si registra specialmente al plurale. «Le evidenze sono chiare», si dice, con il tono dell’«eureka!» e dello «ahà!». Infatti è proprio vero: le evidenze sono chiare; del resto c’è la controprova: le oscurità sono scure. Il mondo pensa di essersi fatto sospettoso e guardingo, e c’è un «a me non la si fa» dietro gran parte degli atteggiamenti che adottiamo. Il successo delle nuove accezioni della parola «evidenza» ci dice però che è vero il contrario: siamo tornati a essere creduloni più di quanto non fossero i contadini medievali. «Le evidenze sono chiarissime! Non ci ingannano più!»: così tripudiamo e ci eccitiamo di fronte a photoshop, montaggi, bluff, fake, fiction. La Terra appare piatta? Segno certo che lo è! Quando non esistevano gli schermi touch, si desiderava «toccare con mano» la realtà: il tatto era il senso della certezza, l’unico che dava concretezza ai fantasmi percettivi e capitava persino che un cieco era l’unico a «veder» chiaro (Tiresia a Tebe). Tommaso apostolo aveva fatto una brutta figura, a non fidarsi della parola, di Gesù risorto: però il coraggio di chiedere la prova tattile glielo si ammirava. Oggi il tatto serve al più per selezionare e (appunto) evidenziare qualcosa da vedere sullo smartphone o sul tablet; è diventato una mediazione verso la cosa vera, la più importante, il clou: l’immagine. Un altro punto da aggiungere alla lunga lista dei passi di gambero: la verità è tornata a essere qualcosa che si vede. L’apparenza non inganna, l’apparenza prova.