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 2018  luglio 20 Venerdì calendario

«Mio papà Guareschi, un perfetto credente che non andava a messa»

«No, il Concilio Vaticano II non era nelle corde di mio padre. Paventava la desacralizzazione della Chiesa. Il prevosto di Roncole, Adolfo Rossi, nel rispetto del suo sentire, celebrò la messa funebre in latino». Così il figlio Alberto alza il sipario su Giovannino Guareschi, l’artefice di Peppone e don Camillo, scomparso mezzo secolo fa, testimone di una certa Italia, ancora ingenua e confusa, divisa fra città e campagna. 

Ma non era così arroccato, Guareschi. «Don Camillo e i giovani d’oggi è il suo commiato, in ascolto dei tempi nuovi. Un “frutto poetico” della contestazione. Ne comprendeva le ragioni, non le forme in cui si andava manifestando» rivela Alberto, che, nonostante i 78 anni, conserva sul viso un’orma sobriamente monellesca (come lo ritrasse il padre sul frontespizio dell’Agenda di guerra, quando era internato come militare nel lager di Beniaminowo).
Papa Giovanni e Malraux
Da un mondo in subbuglio si congedò l’«anticonciliare» Guareschi. «Giovannino era un profondo credente - distingue Alberto -, non un perfetto osservante. Se non andava a messa era perché gli impegni lo tenevano legato alla scrivania». Avvertendo forse come affine - il piacere del paradosso - l’artefice del Vaticano II, Roncalli, il Papa contadino: «Un episodio lo avvicinò in particolare a Giovanni XXIII. Nunzio apostolico a Parigi, donò a Malraux una copia di Don Camillo e il suo gregge, “per - suonava la dedica - suo diletto spirituale”. Non a caso. Malraux, nel suo paese d’origine, era alle prese con la difficile coabitazione tra parroco e sindaco...».
Ironia della sorte. Il passo d’addio Guareschi lo compì fuori di casa. Il colpo al cuore lo raggiunse a Cervia il 22 luglio. E non fra le sue biolche, voltate e rivoltate con l’aratro e con la penna, giorno dopo giorno edificando un infrangibile Mondo Piccolo. La provincia che modellava l’uomo ideale, «pittoresco fino alla stramberia - come apparve a Piovene -, l’uomo che non crede alle idee ma piuttosto alle fate, chiuso tra i suoi campi e le sue tombe».
Non c’era Piovene al funerale di Guareschi, l’anima affilatissima del Bertoldo e del Candido che aveva eletto a dimora Roncole Verdi nel 1952 (era nato non lontano, a Fontanelle, nel 1908). Ma c’era, tra i pochi, i pochissimi che non temettero di sembrare démodé seguendo il feretro di un «reazionario», Enzo Ferrari. «Cercò - ricorda Alberto - di convincere mio padre ad acquistare una sua auto, beninteso a un prezzo ritoccato all’ingiù. Sulla pista di Maranello, al volante il commendatore, Giovannino soffrì un giro ad altissima velocità. Quando scese, fu inesorabile: “Non salirò mai più su una Ferrari”. Ma acconsentì che la provassi anch’io, raccomandando al Drake di non premere più di tanto sull’acceleratore. Toccammo comunque i centottanta...».
Si arriva a Roncole Verdi passando in rassegna schiere di pioppi, patendo il frinìo delle cicale, occhieggiando i covoni nei campi («Mio padre, che mi ha lasciato in eredità la tenacia, riservando l’umorismo a mia sorella Carlotta, la pasionaria, rammentava quando la luna “saliva senza fretta nel cielo pulito perché doveva contare, uno per uno, i mucchietti di covoni sparpagliati nei campi di grano da poco tosati”»).
409 giorni di carcere
Si parcheggia in piazza Guareschi, un’occasione topografica per ripercorrere il curriculum di Giovannino. «Vittorio Gorresio ne contestò l’intitolazione, considerandola un’offesa a De Gasperi», non dimentica Alberto, fino a ieri, o ieri l’altro, ristoratore, secondo i tempi umani, umanissimi, della Bassa («Servizio lento, ma cordiale», come si leggeva sulla lista dei piatti). Riecco gli Anni Cinquanta, una vicenda che infiammò e divise: «Accusato De Gasperi di aver sollecitato gli Alleati a bombardare Roma, in forza di due lettere che saranno ritenute apocrife, mio padre venne condannato a 409 giorni di carcere, tutti scontati, non invocando scorciatoia alcuna». 
Di lesa maestà in lesa maestà. De Gasperi (al cui successo Guareschi pure contribuì nel ’48, ideando uno spot irresistibile: «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede Stalin no») dopo Luigi Einaudi. Era accaduto a Giovannino, invidioso forse dei vini piemontesi, di polemizzare bonariamente con il Presidente (nelle etichette delle sue bottiglie - «Poderi del senatore Einaudi» - intravedendo un’indebita trouvaille pubblicitaria). Vilipendio a mezzo stampa del Capo dello Stato, sancì la Giustizia.
Si raggiunge Casa Guareschi, sede dell’archivio e del centro studi, duecentomila i documenti raccolti, dopo aver sorseggiato un caffè, va da sé, al bar Guareschi. Una sorpresa forse attende, magari un inedito, auspicando la consacrazione nei Meridiani? «Un libro c’è. Titolo: Stefania tra i boeri, sulla guerra anglo-boera. Il giudizio negativo di Aldo Borrelli, direttore del Corriere della Sera, convinse mio padre a riporlo nel cassetto. Perché il romanzo non funziona? Non si amalgamano i suoi ingredienti: umorismo, avventura, storia d’amore...».
Mondo Piccolo, il mondo di ieri in fermento lungo il Po, il grande fiume sulla cui riva Guareschi andava a sedersi per ascoltarne le storie: «La gente dice di me: “Più diventa vecchio, e più diventa svanito”. Invece non è vero perché io sono sempre stato svanito. Grazie a Dio».
Si avvicina l’ora del crepuscolo su Roncole, la culla di Verdi. Il cielo ha il respiro di un incendio. A risuonare, da qualche parte, è la voce fonda di Guareschi: «Come può scaturire da una terra così piatta, la Bassa, una musica romantica, esuberante, come quella di Verdi? Guardate i nostri tramonti: sono esplosivi, come un melodramma».