La Stampa, 19 luglio 2018
Fortunato Cerlino: «Di nuovo boss dopo Gomorra ma stavolta per farvi ridere»
Prendete una delle tragedie di Shakespeare più famose al mondo e uno degli amori contrastati più noti della storia e portateli a Roma. Agitate il tutto in salsa grottesca e otterrete la nuova serie tv di Fox Italia, Romolo + Giuly, in onda dal 17 settembre sul canale 112 della piattaforma Sky. Il sottotitolo di questa strampalata versione riveduta e (s)scorretta di Romeo e Giulietta è La Guerra Mondiale italiana, nella quale a darsi battaglia sono le due anime della capitale, quella «fighetta» di Roma Nord e l’altra «coatta» di Roma Sud.
Ma è la Città Eterna a diventare così oggetto degli appetiti di Milano e Napoli, insoliti alleati, che vorrebbero approfittare delle lotte intestine per conquistare la Capitale e dividere finalmente l’Italia in due. In mezzo a tutto questo c’è l’amore disperato dei giovani Romolo Montacchi (Alessandro D’ambrosi) e Giuly Capulati (Beatrice Arnera). Riusciranno a coronare il loro sogno?
Il minimo che si può dire è che il progetto, che prende spunto da una serie web, sia quanto meno curioso. Vedendo anche le prime clip che hanno iniziato a girare in Rete, l’intento dei suoi autori (Giulio Carrieri, Alessandro D’Ambrosi e Michele Bertini Malgarini, che cura anche la regia degli otto episodi da 30 minuti) è chiaramente quello di far ridere, e quello della Fox di ripetere le fortune di Boris. Nel cast spiccano i nomi di Massimo Ciavarro, nel ruolo del boss di Roma Nord, quello di Giorgio Mastrota alla guida dei milanesi con Tciù, il fratello cattivo di Uan (ricordate il pupazzo rosa di Bim Bum Bam?), e quello di Fortunato Cerlino, lo spietato Pietro Savastano di Gomorra. Anche qui nei panni di un boss, ma da ridere.
Un ruolo e una storia talmente strampalati che «appena ho ricevuto la proposta di Fox mi sono detto: “Ma questi sono matti” – racconta ridacchiando Cerlino – poi ho approfondito il progetto e ho visto la serie web e mi sono detto: “Sì, sono matti davvero”. A quel punto mi sono fatto inviare il copione, ho letto e ho pensato: “Ok, sono matti, ma bravi”. Perché il tono è ovviamente grottesco e i personaggi sono goffi ma questa serie nasconde delle verità inaspettate: c’è l’Italia incompiuta e raffazzonata di cui continuiamo a parlare ancora oggi».
Il lato comico
Il «papà di Genny» si è molto divertito nei panni di don Alfonso: «È un nostalgico del Regno delle Due Sicilie, un tardo Borbonico anche in odore di camorra, che deve nascondere una latente omosessualità, che poi tanto latente non è visto che perderà la testa per il figlio di un boss siciliano. È un personaggio scritto bene e molto divertente. Sa una cosa? A volte noi attori facciamo cose comiche che poi a riguardarle non ci fanno ridere. Ecco, non è questo il caso. E anche dal punto di vista lavorativo è stata una delle esperienze più felici fatte finora».
Impossibile non collegare il boss di Romolo + Giuly a quello di Gomorra: «Su Pietro Savastano ho sempre scherzato con molta attenzione, con una serietà di base che permettesse anche di ironizzare. Qui la presa in giro di quel personaggio c’è solo fino a un certo punto perché sono molto diversi, anche sulla recitazione ho fatto un lavoro differente. Don Alfonso è anche simpatico, Savastano non lo era proprio per niente».
«La porta rossa»
Ma Cerlino si libererà mai dal ruolo di don Pietro? «L’uscita dalla seconda stagione è stata studiata a tavolino, avevamo anche la possibilità di continuare nella terza, ma pur ringraziando questo personaggio a cui rimarrò sempre legato, è stato giusto così. Poi, soprattutto nei primi mesi successivi alla serie, ho dovuto dire no a sette o otto boss per non identificare l’attore con il personaggio. Per fortuna ora non succede più. È stato come ripartire da zero, fermo restando che devo tanto a Gomorra, a Sollima e a Saviano».
Chiusa l’esperienza sul set romano, Cerlino si è spostato a Trieste per girare (fino a metà ottobre) la seconda stagione de La porta rossa, che andrà in onda su Rai 2: «Sarò il nuovo vicequestore che arriva da Napoli – racconta – un uomo molto duro che ha un rapporto con la figlia da ricostruire e che avrà anche una storia d’amore con una delle protagoniste della serie. Non mi chiedete di più. Sono contento, perché è un bel progetto. Finalmente, grazie anche a Gomorra, è passato in Italia il concetto che la serialità deve essere di qualità. Ho avuto anche un’altra proposta, ma ho rifiutato per precipitarmi su La porta rossa appena mi hanno chiamato».