Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2018
Le multe finanziano il budget dell’Ue
Con l’annuncio di ieri della commissaria Vestager, Google sfonda un nuovo record. Ma saranno in pochi a invidiarlo: 6,7 miliardi di euro di sanzioni da pagare alla Ue, la somma dei 4,3 miliardi inflitti ieri e dei 2,4 miliardi già richiesti nel 2017 per aver favorito il suo sistema di comparazione prezzi Google Shopping. Senza escludere nuove multe in arrivo, magari dalla terza indagine in corso per i comportamenti anticoncorrenziali del suo sistema pubblicitario AdSense. Non è la prima volta che un colosso del tech finisce sotto la lente dell’antitrust europeo, come testimonia la (ampia) casistica degli ultimi anni. Ma che fine fanno le risorse raccolte con le sanzioni di Bruxelles? La risposta arriva direttamente dalla Ue. I soldi pagati dalle aziende che violano le leggi sulla concorrenza confluiscono nelle casse del budget comunitario, l’insieme di risorse che tengono in piedi i progetti della Ue lungo il suo Quadro finanziario pluriennale (la programmazione delle spese per un periodo fissato oggi a sette anni). Non sono destinate a nessun investimento specifico, ma consentono di ridurre le quote dei vari paesi Membri.
Facciamo un passo indietro per capire meglio. L’Unione europea si finanzia al 98 per cento con «risorse proprie» e per quello che avanza con «altre risorse». Le risorse proprie sono costituite da dazi doganali raccolti dai Paesi (che possono incassarne una quota del 20%), risorse attinte dalla raccolta Iva e risorse proprie tradizionali, basate sul reddito nazionale lordo (attraverso un’aliquota standard). Le «altre entrate» sono attinte invece da fonti come le tasse sugli stipendi dello staff europeo, i contributi dai Paesi extraUe e, appunto, le sanzioni imposte alle aziende quando violano le regole comunitarie di commercio e concorrenza. In proporzione si parla di un valore che incide per meno dell’1% sul bilancio comunitario. Ma i numeri assoluti rivelano comunque un “tesoretto” che è valso e continua a valere entrate miliardarie. Limitandosi ai casi di cartello, gli accordi fra produttori,la Commissione ha imposto sanzioni per 8,52 miliardi di euro fra il 2014 e il primo trimestre del 2018, arrivando a infliggere 2,9 miliardi nel 2016 alla «intesa dei camion» siglata in Germania da produttori come Daimler, Volvo e altri rivali. Anche le contestazioni di abuso di posizione dominante (la stessa violazione imputata a Google) o di accordi illeciti hanno saputo tradursi in sanzioni di dimensioni notevoli, con una particolare propensione per l’industria del tech. Nell’ordine: 151 milioni di euro nel 2007 alla spagnola Telefonica per aver fissato prezzi «poco equi» sul suo mercato domestico; doppia multa a Microsoft da 899 milioni (2008) e 561 milioni (2013) per abuso di posizione dominante sui browser; oltre un miliardo di euro a Intel nel 2009, sempre per abuso di posizione dominante nel suo business dei processori; 110 milioni di euro nel 2017 a Facebook, l’impero social di Mark Zuckerberg, per aver fornito informazioni «depistanti» sulla sua acquisizione del servizio di messaggistica Whatsapp nel 2014.
Fuori dalle sanzioni in senso stretto, ci sono casi altrettanto eclatanti. A partire da quello di Apple, finita nel mirino delle autorità europee per gli accordi illeciti siglati con l’Irlanda. Nel 2016 la Commissione europea ha stabilito che l’azienda della Mela morsicata aveva ricevuto aiuti illeciti da Dublino, sottrando al fisco un valore totale di 13 miliardi di euro grazie a un tax ruling: un accordo fiscale che ha permesso all’azienda, in questo caso, di sforbiciare la corporate tax (la tassa sul reddito di impresa) fino a una soglia minima dello 0,005% nel 2014.