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 2018  luglio 18 Mercoledì calendario

Il pittore Pix è un robot: esplora la realtà e la riproduce come un artista

Il suo film preferito è «Io Robot». Ma per Hod Lipson, professore di Ingegneria e Data Science alla Columbia University di New York e tra i massimi esperti di Intelligenza Artificiale, non è poi tanto una storia di fantascienza. Da lì gli è venuta l’idea per uno degli ultimi progetti, «Pix18», un robot pittore (in realtà somiglia a una fotocopiatrice), che, quando è ispirato, decide autonomamente cosa ritrarre e lo fa in modo sempre diverso, perché impara dall’esperienza.«Pix18 dipinge a olio su tela, è più bravo di me e di te e probabilmente di gran parte delle persone», ci spiega Lipson, che incontriamo a Milano dove ha partecipato a un incontro del Disruption Workshop della Singularity University. «Ma la cosa incredibile è che acquisisce da solo nuove competenze e la sua capacità artistica evolve in una direzione non prevedibile. È creativo, una dote che si pensava solo umana. Inizialmente gli mostravo una foto e la riproduceva, con una tecnica simile a quella impressionista». 
«Oggi va in giro per il mondo con Google street view, vede cose e, quando qualcosa lo colpisce, disegna. Ora è nel mio soggiorno a New York e si diverte a fare ritratti al gatto», racconta. «Pix18» è un esempio della nuova frontiera delle macchine. Cose come scrivere testi scientifici o prevedere gli andamenti di Borsa sono la punta dell’iceberg. Il prossimo passo è lo sviluppo di creatività e autoconsapevolezza. «Ci si sposta dall’analisi alla sintesi. Oggi i robot sono bravi a ingurgitare dati e trarne conclusioni logiche. Il passaggio successivo è la facoltà di generare idee, dipinti, musica, progettare il design di oggetti. Non possono scrivere, ancora. Le parole sono troppo difficili».
Macchine che possono evolversi, imparando dalla conoscenza di sé e dall’esperienza per diventare qualcosa d’altro. Già, ma cosa? «Questo ancora non lo possiamo sapere. Diamo al robot un modello non del mondo ma di se stesso e gradualmente, come un bambino, svilupperà nozioni ed emozioni che non possiamo definire, perché sono entità differenti da quelle umane». Lipson, nato ad Haifa, in Israele, 51 anni fa, discute di robot dotati di coscienza con un approccio pragmatico. Ma soprattutto con la convinzione che il dilemma etico sia meno dilaniante di quanto ci appare: «Le applicazioni positive saranno più di quelle negative. La tecnologia che può rendere un robot in grado di uccidere permette di diagnosticare un cancro e salvare vite. La tecnologia è agnostica e il punto non è cosa l’AI farà alle persone, ma cosa gli esseri umani si faranno a vicenda usandola».
Lipson non rinuncia all’ottimismo, tranne che per un aspetto. «Entro 10 anni le macchine impareranno a comunicare tra loro e con noi. Sarà eccitante ma spaventoso. Gli amici in carne e ossa saranno sostituiti da realtà non umane. Come in «Her», forse il mio film preferito: il protagonista si innamora di un’AI, da cui si sente più capito che dalla moglie». Prossimo step: relazioni sintetiche di facile gestione.