la Repubblica, 18 luglio 2018
Come funziona la macchina delle plusvalenze
Il trucco c’è e si vede. Basta averne voglia. Il caso Chievo ha sollevato il velo di Maya sulla prassi più diffusa del mercato della Serie A: la ricerca della plusvalenza. Indispensabile per mettere a bilancio vantaggi e sostenere i costi crescenti delle nostre società, sempre più indebitate ( 3,5 miliardi nel 2017). Per questo, la scorsa estate la voce aveva fatto registrare un’impennata senza precedenti dell’84%. Utili a neutralizzare oquasi le perdite. Ma come si calcola una plusvalenza? Ogni giocatore ha un costo a bilancio, che è la spesa sostenuta per averlo (comprese le commissioni agli agenti, voce sempre più onerosa), ammortizzata per il numero di anni di contratto. Registrare una plusvalenza vuol dire venderlo a una cifra superiore a quella di ammortamento residuo.
In questo senso, tanti hanno visto nel neonato diritto di “ricompra”, appena introdotto dalla Federcalcio e mutuato dalla Spagna, un assist: ti vendo un calciatore e faccio plusvalenza, lo ricompro l’anno dopo e la plusvalenza la fai tu ( spesso con un piccolo “extra” per la valorizzazione). Raccontano che qualcuno, per garantirsi, avesse chiesto addirittura alla Figc di avere già il modulo per esercitare il riacquisto. Da via Allegri hanno detto no e anzi hanno evitato di stampare i moduli: sarebbero stati un invito a consumare plusvalenze fittizie dando la garanzia a chi acquistava di rientrare della cifra.
Da qualche anno però la moda in Serie A è un’altra: valorizzare i ragazzi delle giovanili. Che non hanno costi residui da ammortizzare e garantiscono quindi plusvalenze piene dalla loro vendita. Maestra è stata indubbiamente l’Inter: negli ultimi due anni, dalla cessione di 11 dei propri giovani è riuscita a incamerare qualcosa come 53 milioni di euro. Ragazzi che in tutto avevano giocato appena 93 partite da professionisti. Più o meno, chi li ha acquistati li ha pagati 570mila euro a partita, 9mila euro a minuto giocato. Soprattutto, grazie a queste operazioni, è riuscita a mettere a bilancio plusvalenze utili ai fini delle valutazioni Uefa sul Financial Fair Play. Caldissimo il canale con l’Atalanta, da cui ha preso Gagliardini e Bastoni per 32 milioni incassandone circa 18 ( dati Transfermarkt) per Eguelfi, Carraro, Bettella, due reduci da discreti campionati di B, l’altro protagonista con l’Under 19 all’Europeo in Finlandia. Certo, si tratta di calciatori destinati a restare a lungo nel calcio professionistico. Insomma, sindacare sulle loro valutazioni sarebbe almeno azzardato. E d’altronde quando la giustizia ordinaria nel 2004 aprì un’indagine sulle plusvalenze tra Inter e Milan non poté far altro che archiviare perché complicato sostenere che un calciatore sia stato venduto a prezzo gonfiato. Per questo, le plusvalenze le fanno tutti. «Non si può sindacare sull’operazione tra due privati, e poi potrei portare decine di casi di giocatori pagati 5-6 milioni e rivenduti a 30-40», spiega a RepubblicaPreziosi. «Ma – aggiunge – va ripensato il sistema calcio, dovrei poter mettere a bilancio un calciatore come prestazione, non come costo». E infatti il problema sono gli ammortamenti: più crescono i costi, più i club hanno bisogno di fare plusvalenze. Ma farne scambiando calciatori vuol dire mettere a bilancio nuovi costi. Un cane che si morde la coda. Finché durerà.