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 2018  luglio 18 Mercoledì calendario

Hugh Grant: «Gli attori di oggi? Non indossano più lo smoking e annullano il mistero sui social»

Hugh Grant era alla fine dei suoi studi a Oxford negli anni ’70 quando esplose lo scandalo Jeremy Thorpe, leader del Liberal Party d’Inghilterra: Normar Scott, aspirante modello ed ex stalliere, ammise pubblicamente il loro affair sessuale, in un’epoca in cui l’omosessualità in Inghilterra era illegale. «A scuola non facevamo altro che parlarne ridacchiando», ricorda l’attore londinese, 57 anni, ora protagonista, nei panni di Thorpe della miniserie televisiva di tre puntate A very english scandal diretta da Stephen Frears, andata in onda con grande successo sulla BBC in Inghilterra.
La miniserie, presto anche in Italia, inizia nel 1965, Thorpe fu accusato di aver assunto un sicario per uccidere Scott (interpretato da Ben Whishaw) e metterlo così a tacere: il complotto non funzionò, ma Thorpe venne accusato di tentato omicidio nel corso di un processo seguitissimo da cui fu poi assolto. Morì nel 2014, e negò fino alla fine la sua relazione sessuale con Scott e il complotto per ucciderlo.
Perfezionista, pragmatico, esigente e incline alla malinconia, Hugh Grant si mostra finalmente in ottima forma: il suo rapporto con la svedese Anna Eberstein, vent’anni più giovane di lui e madre di tre dei suoi cinque figli, è stato sigillato dalle nozze proprio pochi mesi fa. E adesso si dedica alla paternità dopo essere stato per anni definito “lo scapolo d’oro” d’Inghilterra. E sembra divertito: «Sono per natura insicuro e per tutta la mia carriera ho sempre pensato che l’ultimo mio film fosse appunto l’ultimo, e anche in famiglia, da giovane, sembravo destinato a niente; ma ora mi spaventa di più l’idea se riuscirò a correre dietro ai miei figli quando avrò 65 anni e loro intorno ai 10. Confesso che per me oggi recitare è come una vacanza. Arrivo sul set puntuale, mi metto dove dice il regista, dico le battute e torno a casa a cambiare i pannolini».
A very english scandal era, stando a Grant, un’offerta irresistibile: «Purtroppo è televisione», dice, «ma molto di classe, una storia raccontata con stile dark e intelligenza. La miniserie esplora le difficoltà patite dagli omosessuali in Inghilterra nei primi anni 60».
Gli chiediamo perché usi quel “purtroppo”: «Mi rattrista il pensiero che oggi tutto sia digitale e non in celluloide, e che nessuno metta più lo smoking alle prime. A me piace quella roba. Non la trovi più da nessuna parte, tranne forse al Festival di Cannes. Mi dispiace che i divi del cinema siano dappertutto sui social quando invece dovrebbero rimanere creature misteriose e irraggiungibili. Ma se lo dicessi apertamente mi darebbero dello snob».