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 2018  luglio 18 Mercoledì calendario

Cento anni di trailer tra sala e Internet

Una promessa, una sintesi, a volte un inganno. Questo erano, e in parte sono, i trailer, che una volta si chiamavano “prossimamente” o anche “presentazioni”: filmati che in pochi minuti, e a volte secondi, annunciano o accompagnano la presenza di un film nelle sale. Gli appassionati di cinema li amano, come tutto ciò che conserva e amplifica l’aura del film, dai manifesti alle locandine. Youtube è diventato un loro formidabile collettore: se ne trovano di tutti i tipi, vecchissimi e recenti, in tutte le lingue. E il web è l’ultima frontiera del loro utilizzo, potenziandolo: le immagini vengono centellinate mesi e mesi prima dell’uscita del film, il numero delle loro visualizzazioni diventa parte della strategia promozionale.

Una cinquantina di schede di trailer contemporanei erano stati raccolti in un volume uscito alcuni mesi fa, Trailer e film.
Strategie di seduzione cinematografica nel dialogo tra i due testi di Martina Federico (Mimesis, 228 p. 20 euro).
Eppure l’arte del trailer, a dire degli intenditori, negli ultimi anni è declinata fino a scomparire, legata a dinamiche di promozione molto rigide, che lasciano poco spazio alla creatività. La storia del genere, a ripercorrerla, ci racconta invece un intreccio tra media molto affascinante. Il primo esempio si fa risalire a 100 anni fa, per The quest of life (1916), in cui recitava anche un giovanissimo Rodolfo Valentino, ma è ovviamente un inizio arbitrario. Il meccanismo è in fondo pur sempre quello dei circhi e dei contastorie, e nel periodo in cui il cinema era anche popolato da serie a episodi, il “cosa accadrà” era naturale.
Le vicende italiane di questo genere le ha raccontate, un paio d’anni fa, il documentario di un appassionato, Fabio Micolano, intitolato C’era una volta il prossimamente. Fino agli anni 50 i “prossimamente” erano molto diversi dagli attuali: lunghi, didattici, con una voce over che spiegava tutto, come un imbonitore o lo speaker di un cinegiornale ((buona parte del pubblico era analfabeta o quasi). Si valorizzavano i nomi degli attori, mai quelli dei registi: almeno finché non arrivò Hitchcock, che era diventato un marchio e una sagoma con le sue apparizioni televisive, e che addirittura per il prossimamente di Psyco fece una visita guidata sul set.
In Italia sono gli anni 60 quelli dell’esplosione creativa, e i due “traileristi” più rinomati si chiamano Miro Grisanti e Iginio Lardani; maghi dei trucchi artigianali, che realizzavano spesso trailer e titoli di testa.
È merito anche loro il design così pop del nostro cinema anni 60 e 70. D’autore e di genere, senza distinzioni: a Grisanti (che ha lavorato in oltre mille film, fino a Benigni e Verdone) si devono le linee spezzate, allucinate che pubblicizzavano Dillinger è morto o Porcile di Pasolini. Lardani, invece, creò tra l’altro gli indimenticabili trailer di Sergio Leone e di Scola. Grafiche ardite, montaggi forsennati, fotogrammi che si spappolavano, prendevano fuoco o venivano inondati di sangue: una stagione di creatività folle che illustrava Il conformista o i poliziotteschi, Fellini o Banfi. E ovviamente, i tentativi di salvare le commedie bisognose: quante volte si andava e si va al cinema attratti da due battute viste in tv, e si scopre che oltre a quelle due non c’è quasi nulla?
Esisteva anche l’avan-presentazione, che doveva nutrire l’attesa del film con mesi d’anticipo, quando il film non era ancora finito, e dunque era realizzata con foto di scena. Una tradizione rilanciata oggi da molti blockbuster e film d’animazione (i minions che cantano Barbara Ann) e da certi “avantrailer” dei cinepanettoni. In un caso, A spasso nel tempo, gli spettatori erano indignati di non trovare quelle scene nel film, che in Sicilia furono reintegrate dopo i titoli di coda, come “bonus track”.
Nel corso della storia, molti registi hanno curato personalmente i trailer. Il più famoso Stanley Kubrick, capace di passare dagli estremi opposti del montaggio forsennato di Arancia meccanica a un’unica inquadratura per Shining (il cui trailer consisteva semplicemente nell’immagine della stanza allagata di sangue).
Dalla fine degli anni 70, la pubblicità dei film si incrocia con lo spot e il videoclip: basti pensare ai prossimamente di I ragazzi della 56 ª strada sulla musica di Stevie Wonder, o di
Querelle con Jeanne Moreau che canta Each man kills the things he loves. Oggi la vera destinazione sembra essere soprattutto il web, con l’autopromozione che nasce anche dai click: «Il trailer di It è stato visualizzato 197 milioni di volte nelle prime 24 ore, battendo il record assoluto, stabilito finora da Fast and furious 8 (139 milioni)».
Nel frattempo, oggi che è possibile campionare e rimontare in casa ogni film, il lavoro creativo sul film produce esempi inattesi. Come i finti trailer che trasformano Mary Poppins in un horror o Shining in un’agrodolce storiella familiare.
Se il trailer forse oggi impressiona meno e serve poco a sedurre gli spettatori ingenui, però vi risuona ancora, fiochissima e lontana, la voce degli imbonitori delle fiere e degli spettacoli popolari.
(1. Continua)