la Repubblica, 18 luglio 2018
La comunicazione è diventata perversa
Sistematica noncuranza per i dati di realtà.Disprezzo di leggi, diritti e valori. Contraddizioni continue e mai sciolte – dei leader con se stessi e tra di loro. Affermazioni atroci fatte col sorriso sulle labbra. Derisione e squalifica di chi osa criticare. Vi sentite confusi? Esasperati?Disorientati? Normale, purtroppo: sono gli effetti tipici di una comunicazione perversa.Nell’ultimo quarto di secolo, psichiatri e psicologi ne hanno scandagliato gli abissi: saggi come Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro di Marie-France Hirigoyen (2000) e L’odio dell’amore. La perversione delle relazioni umane di Maurice Hurni e Giovanna Stoll-Simona (2004) sono preziosi manuali di sopravvivenza ai veleni della violenza verbale e psicologica.Oggi vale la pena di portare le loro riflessioni oltre la cerchia degli addetti ai lavori, perché il virus ha contaminato pesantemente il dibattito pubblico e il discorso politico. Non da oggi, certo: ma nell’era salviniana (e trumpiana) pare dilagante. La comunicazione perversa ricalca le modalità tipiche della perversione morale, un tipo di condotta (che può fissarsi in una vera e propria patologia) molto pericoloso.Secondo lo psichiatra Paul-Claude Racamier, tra i suoi primi e più acuti interpreti nel saggio Il genio delle origini (1993), è “un campo della vita psichica la cui atmosfera è poco respirabile”. Nelle famiglie e nelle coppie si traduce in abusi e violenze, psicologiche o materiali; sul lavoro si manifesta come mobbing. La perversione attacca a morte la creatività, la vitalità, la tenerezza. Devasta chi la subisce.Il suo obiettivo è imporsi a spese altrui, le persone sono ridotte a utensili da sfruttare. In questo “progetto di potere” la comunicazione ha un ruolo fondamentale: le parole sono armi per manipolare, confondere, colpire, umiliare. Proviamo dunque a evidenziare alcuni tratti caratteristici della comunicazione perversa: riconoscerli è importante per difendersi e reagire – nella vita pubblica come in privato. E possono aiutarci a ragionare più in profondità sul tempo presente.Primo: disprezzo per la verità.Sintetizza Racamier: “Che importa al perverso della verità e della menzogna: per lui conta solo l’efficienza. Che gli importa se i suoi detti siano veri o falsi: per lui conta solo che siano credibili”, e servano i suoi scopi. Se si contestano i fatti o si evidenziano le bugie e le contraddizioni, il comunicatore perverso elude. E, soprattutto, attacca, nei modi che vedremo.Secondo: attacco al pensiero, alla logica, alle percezioni. Il pensiero perverso lavora per dividere, confondere, contrapporre.L’obiettivo è provocare “il black out delle informazioni reali”, scrive Hirigoyen, per ridurre all’impotenza l’interlocutore.Argomenti spacciati per evidenze del buon senso, se andate a “smontarli”, si rivelano basati su dati errati, pseudo-argomentazioni, contrapposizioni o collegamenti “ad effetto”, efficaci dal punto di vista emotivo, ma senza logica né fondamento (pensate alle infinite variazioni sul tema “prima gli italiani”). Alla comunicazione perversa ovviamente fa gioco una platea di analfabeti funzionali cresciuta senza sosta negli anni, come denunciava il compianto Tullio De Mauro, che faticano a seguire i ragionamenti complessi – e si arrabbiano.Terzo, squalifica sistematica degli interlocutori – specialmente quando affermano verità scomode – attraverso la derisione, il disprezzo, la delegittimazione, le allusioni maligne, se non la calunnia. Come ha messo in luce con esattezza Saviano, sono mezzi di intimidazione, cui possono aggiungersi minacce più o meno velate (sintomatica, per esempio, la vicenda del presidente dell’Inps Boeri). Non a caso, spiegano Hurni e Stoll-Simona, la mafia è la costruzione sociale perversa per eccellenza.Quarto, mettersi nella posizione di vittima. Dopo un basso continuo di attacchi più o meno subdoli (che vogliono provocare umiliazione e rabbia), se ci sono reazioni, la comunicazione perversa “proietta”, si dice in gergo psicologico, ossia attribuisce agli altri, l’aggressività. “Qui c’è amore, lasciamo siano altri a minacciare, rosicare”, ha detto Salvini a Pontida (ma non dimentichiamo Renzi contro i “gufi” – anche se il copyright del “Partito dell’amore” in salsa perversa resta di Berlusconi).Quinto, disprezzo delle leggi.L’atteggiamento è infischiarsene, minarne la legittimità. Sfidare e mettere in ridicolo norme fondamentali (dal codice penale, alla Costituzione, ai diritti umani).Last but not least, parlare d’altro, mentre il cuore dei problemi e degli interessi resta nascosto, intoccabile.I bulli a scuola, i capiufficio che fanno mobbing e i leader più aggressivi riescono sempre a conquistare seguaci che danno loro man forte: è sconcertante.Perché accade? In primo luogo, conquistano il consenso legittimando le persone a sfogare rabbie e frustrazioni contro obiettivi vulnerabili. Poi c’è la fascinazione per chi ostenta forza e assenza di dubbi. L’aggressività e la derisione contro chi prova a opporsi fanno il resto. I meccanismi perversi avvelenano le basi della convivenza perché fomentano le divisioni e diffondono l’indifferenza morale e l’assenza di empatia, il miglior terreno di coltura dei comportamenti criminali (come la sparatoria di Macerata). Per contrastarli, servono lucidità, calma e fermezza. La perversione prospera perché è tollerata, spiega Hirigoyen, perché, reagendo, si teme di passare per “moralisti”. Prendo in prestito, a conclusione, le parole di Racamier, come viatico per le persone di buona volontà: “Abbiamo la nostra morale, e ci teniamo, è quella che ispira il rispetto per l’altro, il valore della vita, il culto della verità”, la roccia cui aggrapparsi. Perché la verità ha una voce sottile, ma comunque inconfondibile.