Tutt’altro. «Le vendite dei libri tradizionali sono tornate a crescere per noi negli ultimi due anni a ritmi tra il 3 e il 5% regalando una nuova primavera anche ai punti vendita più piccoli — assicura il manager che nell’ultimo decennio ha cavalcato la rivoluzione digitale trasformando il gruppo Usa nel secondo editore mondiale.
«C’è stato un innamoramento per gli e-book, ma ora il vento è cambiato. La gente si è stancata di passare le giornate su computer e smartphone per lavoro e per navigare sui social media. Il libro fisico è un’altra cosa. Non ci sono pop-up, né fastidiosi messaggini che suonano mentre leggi. E ora stiamo imparando a dare valore a questo fattore».
L’ultimo decennio però ha cambiato le regole di questo mondo. Come?
«Radicalmente. Pensi al Kindle. È arrivato nel 2009, sembra ieri, ma assieme un secolo fa. Il digitale ha portato cambi drammatici nelle scelte dei lettori e nel nostro lavoro: se i consumatori vogliono subito un libro possono procurarselo con undownload da casa in pochi minuti, ogni volume vive per sempre e non va mai fuori stampa, sono arrivati gli e-book e ora gli audiolibri. Poi Amazon e l’e-commerce hanno completato l’opera trasformando per sempre il problema della distribuzione».
Come è cambiata HarperCollins in questi dieci anni?
«Li abbiamo affrontati un gradino alla volta. Cercando di capire dove e come mutava il mercato e provando a fare le cose giuste al momento giusto per essere in anticipo sui concorrenti. La sfida più importante è rimasta quella di andare a caccia dei lettori dove ci sono e si formano comunità. Una volta succedeva su giornali e radio — dove peraltro investiamo ancora — ora sui social che ci hanno obbligati a puntare molto sul digital marketing. Le tecnologie hanno reso poi molto più efficiente la gestione della distribuzione: pubblicavamo 50mila copie per venderne 30mila, ora è tutto molto più on time con rese ridottissime e sul digitale ci sono costi ridotti. Cosa che ci ha consentito di concentrare gli investimenti sulla promozione invece che spendere tutto per la stampa».
E ora a che punto è questa metamorfosi del settore?
«Sui mercati anglosassoni si è arrivati a un equilibrio tra le vendite di libri di carta e quelli elettronici. Anzi, l’innamoramento collettivo per gli e-book si è un po’ appannato e questi prodotti sono in lieve flessione. Invece ha ripreso a crescere a carta. In pieno boom è invece l’audiobook che cresce a due cifre ed è un modo per regalare nuova vita a un testo. Non a caso stiamo investendo molto per arruolare attori e attrici in grado di fare una lettura all’altezza della richiesta dei consumatori. Sul fronte della distribuzione invece, i grandi punti vendita sono in difficoltà causa Amazon mentre stanno rinascendo le piccole librerie di comunità».
Quale è oggi il sogno di un editore?
«Tutti vogliono produrre il nuovo Game of thrones. Apple, Amazon e Netflix sono a caccia di belle storie con il potenziale commerciale di diventare grandi serie tv. Ci sono in ballo investimenti di decine di miliardi e un editore con storie da raccontare e vendere ha grandi opportunità. Noi abbiamo già 200 titoli opzionati su questo fronte e, per dire, abbiamo appena raggiunto assieme agli altri titolari dei diritti de Il signore degli anelli un accordo molto ricco con Amazon che pagherà fino a un miliardo per farne una nuova serie».
Ma Amazon e i colossi dell’hi-tech non sono il grande spauracchio degli editori?
«Amazon è il nostro ”frienemy”, come lo chiamo io. Amico-nemico. È efficiente, ci paga bene, è un ottimo partner. Ma siamo preoccupati che diventi il solo posto dove si comprano libri, e questo non va bene. Difficile invece che i colossi del web ci possano rubare il lavoro. Sono concentrati su film e tv, che hanno zero costi e hanno a disposizione milioni di abbonati come potenziali clienti. Sarei sorpreso se tentassero di entrare in un mondo come quello dei libri dove ci sono meno soldi in ballo. Gli autori hanno avuto in teoria la possibilità di pubblicare i propri libri con Amazon ma per ora sono rimasti con noi».
Non teme quindi lo strapotere di questi colossi?
«Penso che la loro crescita debba essere monitorata con più attenzione e l’Europa, da questo punto di vista, mi sembra si sia mossa bene. Il mondo sta cambiando rapidamente, vanno protetti privacy e uso dei dati. L’America è stata troppo permissiva anche se ora si sta formando una corrente di pensiero per un intervento dello Stato. Una democrazia che funziona è importante e il ruolo degli editori in questo meccanismo è decisivo».
Siete sbarcati da poco in Italia. Come vanno le cose e come vede il nostro mercato?
«L’Italia è il mercato dove stiamo crescendo di più. Sono state fatte ottime scelte da un management guidato da Laura Donnini che ha acquisito Alberto Angela, Wilbur Smith, Jeffrey Archer e Marco Bianchi. Abbiamo più che raddoppiato in un anno, è un’ottima partenza. Resta in Italia la peculiarità di editori che controllano i punti vendita, cosa che non esiste nel mercato anglosassone. È un modello che non sempre funziona. Qui per ora va ma Amazon sta crescendo così rapidamente che penso cambierà qualcosa».
E il gruppo a livello mondiale su cosa punterà?
«La nostra crescita arriverà dai libri di carta, dagli audio e dal mercato internazionale. Una volta eravamo una realtà anglosassone, ormai grazie all’acquisizione di Harlequin stampiamo in molti paesi. E investiremo ancora in Sudamerica, Giappone ed Europa. Siamo aperti a tutto, aperti anche ad acquisizioni, ma per ora lavoriamo a una crescita organica. Puntando su autori locali. Con mix di libri locali, fiction o non fiction. Il 50% delle nostre entrate arriva da libri di nuova pubblicazione. Una sorta di scommessa continua. Gli affari migliori li fai quando scopri un autore che vale e il suo libro fa boom. Il nostro respiro internazionale ci aiuta a proporre agli autori la capacità di promozione a livello mondiale».