la Repubblica, 18 luglio 2018
Nella scuola della monarchia russa a studiare ricamo e sognare lo Zar
Una statua di Caterina la Grande saluta ogni mattina i visitatori del “Ginnasio ortodosso di San Basilio Magno”, inaugurato dieci anni fa a una ventina di chilometri a Sud di Mosca. I suoi 400 studenti in uniforme blu mare e fazzoletto color ottone si preparano a diventare «la nuova élite» della futura monarchia russa. Nel centenario della brutale uccisione della famiglia di Nicola II che mise fine ai 400 anni della dinastia Romanov a capo dell’Impero russo, un’esigua ma influente parte della società russa spera ancora nel ritorno degli Zar. «L’anima russa è per sua natura monarchica. Basti ricordare come i leader sovietici, da Lenin a Krusciov sino a Gorbaciov, venissero venerati come sovrani da parte del popolo», sostiene il preside Zurab Chavchavadze, affabile georgiano 75enne, incontrandoci nel suo studio dove domina un grande ritratto dell’ultimo Zar, canonizzato martire nel 2000 insieme alla famiglia.
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio, a Ekaterinburg, un plotone di bolscevichi fucilò Nicola II, la moglie Aleksandra e i cinque figli Aleksej, Olga, Tatjana, Maria e Anastasija, ne smembrò e arse i corpi e li seppellì in fretta e furia in una vicina foresta. I resti furono individuati nel 1979, ma sepolti solo vent’anni fa a San Pietroburgo. Eccetto le spoglie dello zarino Aleksej e della sorella Maria: ritrovate nel 2007, sono conservate in custodie stagne negli Archivi di Stato per i dubbi della Chiesa sul loro Dna. Cent’anni dopo, il 60 per cento dei cittadini russi definisce quell’esecuzione «un crimine mostruoso», mentre oltre il 28 per cento vorrebbe il ritorno della monarchia contro il 22 per cento di dodici anni fa.
Chavchavadze è d’accordo.L’uccisione dei Romanov, dice, fu «un genocidio» e non ne nacque nulla di buono. Dopo la Rivoluzione, la sua famiglia fu costretta a fuggire. Rimpatriò sull’onda della vittoria sui nazisti, ma il padre fu dichiarato “nemico del popolo” e mandato per 25 anni in un Gulag oltre il Circolo polare artico, mentre Zurab e la madre furono esiliati in Kazakhstan fino alla riabilitazione sotto Krusciov.
Dopo vari lavori occasionali, Chavchavadze diventò assistente del granduca Vladimir Kirillovich, pretendente al trono e capo della famiglia imperiale Romanov fino alla morte nel 1992. È allora che Zurab conobbe Konstantin Malofeev, 43 anni, soprannominato “l’oligarca ortodosso”, fondatore del ginnasio – «una sorta di Eton ortodosso», lo chiama – e anche del canale “Tsargrad”, sotto sanzioni europee con l’accusa di “destabilizzare” l’Est Ucraina e finanziare i separatisti filorussi.Da adolescente Malofeev scrisse una lettera al Granduca che si commosse e mandò Chavchavadze a rispondere di persona. «Da allora siamo sempre rimasti in contatto finché non mi ha chiamato a dirigere la sua fondazione e questa scuola. La missione del ginnasio è formare una nuova élite ortodossa, educata e istruita. Malofeev crede, e io sono d’accordo, che dopo la catastrofe del 1917 la Russia non ne abbia più avuto una», spiega Zurab.
Il grande edificio bianco e celeste assomiglia più a un palazzo reale che a un istituto.Al suo ingresso svetta la bandiera imperiale con l’aquila a due teste. La retta di circa 9.500 euro non è alla portata di tutti, ma ci sono agevolazioni per chi prende buoni voti o ha fratelli o sorelle tra i banchi di scuola. Si studiano non solo le materie umanistiche e il latino, ma anche le Sacre Scritture, arte, musica, galateo, ricamo, cucina e il ballo in una grande sala ornata dai ritratti dei Romanov. «Cerchiamo di far rinascere le vecchie tradizioni.
Negli anni Venti era proibito cantare in campagna o suonare la fisarmonica». I manuali di storia e letteratura sono stati commissionati appositamente «per eliminare le calunnie sull’Impero». «Cerchiamo di far capire – prosegue Zurab – che la monarchia fu il periodo di maggior progresso nella storia russa. E la religione è il perno».
La giornata è scandita dalla preghiera e inizia con una messa in slavo ecclesiastico antico in una cattedrale appena costruita al costo di un milione di euro.
Religione e nostalgia per la monarchia, del resto, in Russia vanno di pari passo. E ben si addicono alla retorica di Vladimir Putin che si presenta come restauratore dell’Impero, benché rifugga l’etichetta di “Zar” che spesso gli viene affibbiata. L’anno scorso furono i russi ultraortodossi a protestare contro il film Matilda su un amore giovanile dello zar martire Nicola per una ballerina di teatro perché lo consideravano blasfemo. Tutti fedeli alla massima del filosofo Ivan Ilin iscritta nel monastero di Ganina Jama eretto sul luogo dove cent’anni fa furono trucidati i Romanov: «La Russia non rinascerà finché nell’anima russa non riapparirà un altare per Dio e un trono per lo Zar».