Il Messaggero, 17 luglio 2018
Siamo uomini o Commissari?
In un’epoca in cui si leggono (quasi) solo romanzi gialli, lo scrittore (o aspirante tale) si trova di fronte una vera missione impossibile: creare un detective che si differenzi, in maniera sostanziale, dagli altri. Che si faccia notare. L’ultimo investigatore insolito è sicuramente Arrowood, contemporaneo (e concorrente) di Sherlock Holmes; psicologo spiantato, preferisce alla disamina di indizi la conoscenza diretta delle persone. Non sopporta il suo celebre rivale, dall’onorario astronomico, sempre intento ad analizzare tracce, a trarre conclusioni affrettate (e spesso erronee). Il suo metodo è scrutare nell’anima degli altri. Se i ricchi vanno da Holmes, i poveri preferiscono lui. Arrowood è un romanzo dello scozzese Mick Finlay, appena pubblicato da HarperCollins.
ELEMENTARE
Elencare i nomi dei commissari apparsi nelle opere di fiction richiederebbe uno spazio superiore a quello disponibile per questo articolo: dai tempi del sergente Cuff de La pietra di luna, di Wilkie Collins, primo romanzo giallo della storia – scritto 200 anni fa – e del padre di tutti i detective, Auguste Dupin (Edgar Allan Poe), abbiamo visto di tutto. Il solito Holmes («elementare», direbbe lui stesso); il paffuto padre Brown di Chesterton; il vecchio Hercule Poirot dalla testa a forma d’uovo, maniaco dell’ordine; il coltissimo Philo Vance, dalla battuta facile; e, naturalmente, il commissario Maigret, robusto e curato, incline al vino bianco e al Calvados. E che Rowan Atkinson, vale a dire Mister Bean, si è permesso di interpretare per una serie tv.
IMPARA L’ARTE
Oggi, la parola d’ordine è: facciamolo strano. L’investigatore creato da Michael Connelly si chiama Hieronymous Bosch come il pittore olandese de Il giardino delle delizie (a sua madre piaceva l’arte); ma i colleghi della polizia di Los Angeles, che temono le sue sfuriate improvvise, preferiscono chiamarlo Harry. Yeruldegger, il poliziotto creato dal francese Ian Manook, è un mongolo tre per uno: rude, cinico ma anche passionale. Il commissario Adamsberg, protagonista dei romanzi di Fred Vargas, si definisce «spalatore di nuvole», per la sua indole sognante: è semplicemente in balia del suo stesso intuito. Boone Daniels (copyright: Don Winslow) vive per il surf ma per campare fa l’investigatore privato a San Diego.
Poiché di investigatori devono pure essercene stati anche nell’antichità, ecco spuntare un genere a parte: il peplum giallo. La scelta è sterminata: da Margaret Doody, che ha tramutato in detective Aristotele, ai moderni (si fa per dire) romanzi con protagonisti romani di età repubblicana oppure imperiale. L’ultimo (in ordine di pubblicazione) è Omicidi nella domus, di Walter Astori (Piemme), in cui il giovane questore Flavio Callido viene chiamato ad indagare sull’uccisione di una donna patrizia. La variante togata del noir è tutt’altro che secondaria: Danila Comastri Montanari sostiene che il giallo classico sia possibile soltanto nel passato, finalmente libero da polizia scientifica e scorciatoie tecnologiche; così ha creato Publio Aurelio Stazio, senatore ironico e non violento, sempre pronto a sporcarsi le mani pur di risolvere casi intricati. La scrittrice inglese Lindsey Davis ha scritto una ventina di romanzi che hanno come protagonista lo stesso investigatore ed informatore, Didius Falco, buon amico di Vespasiano.
QUANTI CAMPANILI
In Italia il giallo non sfugge (come ogni altra cosa) alla regionalità; così, oltre alla lingua siciliana del Montalbano di Camilleri e al pisano dei vecchietti del BarLume (Marco Malvaldi), non vi è campanile che non sia stato occupato, manu militari, da qualche scrittore. Rocco Schiavone non indugia molto nel romanesco, come Gadda nel Pasticciaccio; ma il suo autore Antonio Manzini lo ha reso assai peculiare: è l’unico poliziotto letterario che, a mo’ di «preghiera laica del mattino», si accenda una canna.
Schiavone, con il suo esilio ad Aosta, occupa l’estremo lembo nord-occidentale della Penisola. All’altro lato, a Bari, abbiamo l’avvocato Guerrieri, di Gianrico Carofiglio, che gira in bicicletta di notte e si allena in palestra di giorno, parlando con il suo sacco da pugile. A Bologna soltanto Carlo Lucarelli ha piantato tre bandierine, con il commissario De Luca e gli ispettori Coliandro e Grazia Negro. A Napoli c’è il commissario Ricciardi (di Maurizio de Giovanni): nobile decaduto e invariabilmente triste a causa della sua capacità (invero soprannaturale) di percepire le ultime sensazioni e parole delle vittime: opera negli anni Trenta.
Non sono meno insoliti i personaggi dell’ispettore Lojacono e degli altri bastardi di Pizzofalcone, turbolenti per definizione. Torino è patria di Fruttero & Lucentini (La donna della domenica) e di Emiliano Mercalli di Saint-Just, giovane capitano dei carabinieri (De Cataldo). A Milano si contano decine di detective da romanzo, compreso il celebre Duca Lamberti di Giorgio Scerbanenco. A Genova ha pensato Piero Chiara, con il suo ispettore Sciancalepre (sic). Nuoro? Occupata da Marcello Fois. Reggio Calabria? La Romagna? Già sfruttate. Il Molise? C’è già il commissario Ingravallo. Agli aspiranti giallisti del futuro non restano, in termini di campanili, che le briciole. Ma non bisogna disperare. Come diceva Alfred Hitchcock, c’è qualcosa di più importante della logica: l’immaginazione.