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 2018  luglio 17 Martedì calendario

Una commedia rubata a Machiavelli

Firenze, settembre di 500 anni fa. Va in scena una commedia in versi a Palazzo Medici, per festeggiare le nozze di Lorenzo. Il testo teatrale, fatto di equivoci amorosi, è divertente e acidulo. L’autore? Boh. I meriti, con il passare del tempo, se li attribuisce Lorenzo di Filippo Strozzi, che aveva finanziato la messa in scena come dono nuziale. La Commedia in versi, così titolata da uno stampatore settecentesco, è al centro dell’indagine di un grande filologo, Pasquale Stoppelli, convinto da tempo di doverla riattribuire al legittimo ed espropriato autore. Così, nel volume Commedia in versi da restituire a Niccolò Machiavelli (Edizioni di Storia e Letteratura, pagg. 116, euro 21), Stoppelli dà l’edizione critica del testo e mette in campo, nell’appassionato saggio, tutte le prove utili al risarcimento. L’inchiesta di un filologo non è tanto diversa da quella di un detective: chi ha copiato da chi? I manoscritti autografi a disposizione, uno di Strozzi e l’altro di Machiavelli, sono “identici nella messa in pagina”. Secondo Stoppelli, il vanesio e poco talentuoso Strozzi ruba da Machiavelli, copia male e corregge a piacimento. Tentando di guadagnarsi “un posto nel pantheon fiorentino delle lettere”, approfitta della caduta in disgrazia di Machiavelli coi Medici (all’altezza del 1518, messer Niccolò era sostanzialmente innominabile nella cerchia della grande famiglia rientrata a Firenze). Machiavellico, non c’è che dire. Ma l’impronta del futuro autore della Mandragola è, per Stoppelli, più che calcata: dallo spoglio della banca dati digitale, affiora “una quantità impressionante di luoghi accomunati da uno stesso frasario”, da concetti, da temi che percorrono tutte le altre opere di Machiavelli. Una decina di passaggi sembrano legati alla Mandragola, di poco successiva alla Commedia in versi, la cui composizione Stoppelli data tra 1512 e 1513. E se questo testo in endecasillabi e settenari fosse il banco di prova del capolavoro in prosa? Protagonisti, due mariti infelici: Catillo è impotente solo quando deve andare a letto con la moglie; Cammillo vorrebbe andare a letto proprio con la moglie di Catillo. La tipica galleria di ruffiani e parassiti; l’ambientazione nell’antica Roma maschera le tirate polemiche sul presente. E non solo: “Oh, che ignoranza è quella de’ mortali, / che pensando menar più lieta vita / cercan d’haver di donna compagnia!”. Cinico? Anche verso la genia a cui appartiene – quella degli stomaci “delicati, deboli, pien di vento”. Gli scervellati uomini di lettere. Ogni tanto, pure ladri.