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 2018  luglio 16 Lunedì calendario

Manfredo Manfredi dall’animazione al Carosello e ritorno

Disegna da ottant’anni, Manfredo Manfredi. «Ho ancora i primi schizzi di quando avevo quattro anni, è stato il mio modo naturale di esprimermi. Mia madre racconta che allora avrei voluto fare il pittore o lo spazzino. Sfogliavo i libri, le enciclopedie di mio padre. Ritagliavo con le forbici animali in movimento, partendo dalla coda, senza averli disegnati. Ne ho alcuni che sono più belli di altri fatti da adulto. La tv non esisteva, ancora». Da allora il regista, scenografo, pittore e animatore palermitano ha illustrato un pezzo di storia d’Italia: dalla sigla di Carosello al canto XXVI della Divina commedia. E poi corti sulla mafia, sul banditismo sardo, una bella versione di Le città invisibili di Italo Calvino. Ha accumulato riconoscimenti in tutto il mondo, compresa una candidatura all’Oscar con Dedalo. Il nuovo lavoro, Lo spirito della notte, è stato presentato ad Animavì, il Festival di animazione poetica a Pergola, diretto da Simone Massi.
«So che la sigla di Carosello mi ha reso popolare – rivela Manfredi – ma non la considero bella ne la ricordo con piacere. Fu un lavoro su commissione, neanche molto condiviso. Capisco che sia diventata il simbolo del passaggio tra giorno e notte per generazioni di bambini. Ma artisticamente non mi rappresenta». Ha attraversato da scenografo l’era della Hollywood sul Tevere, «uscito dall’Accademia feci l’aiuto di Pietro Filippone in Antinea- Regina di Atlantide », ma presto ha virato sull’animazione che era indagine sociale: Ballata per un pezzo da novanta sulla storia di Serafina Battaglia nel ‘65 Lo firmai insieme a Guido Gomas, un’operazione insolita per l’epoca, visivamente m’ispirai alle opere di Renato Guttuso». Poi sono venuti Su sàmbene non est abba sul banditismo sardo e Terùn, sull’immigrazione dal Sud al Nord «un film che racconta anche molto dell’oggi». Sciolto il sodalizio con Gomas, «ho preferito ripiegare in una dimensione più intima». Dedalo — rapporto di coppia in una stanza – ottenne premi in tutto il mondo e fu candidato all’Oscar nel ‘77, «in Italia non vinse nulla. Il cartoon da noi in quel periodo era inteso come qualcosa che doveva far sorridere. Ma l’animazione per me è sempre stato un percorso parallelo alla pittura: non mi interessava far sorridere, semmai creare qualche problema...». Dopo vent’anni passati a dipingere, espressionismo astratto, Manfredi è tornato all’animazione con Lo spirito della notte: «Da artista vivo, immagino, creo dopo il crepuscolo, nel mio studio. Ho voluto raccontare l’uscita da una realtà che riduce la possibilità di esplicare le proprie fantasie. Nel mio corto l’occhio entra in un spazio chiuso all’esterno, ma in realtà infinitamente aperto, libero per la mente e l’anima, lontano dalla banalità del quotidiano».