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 2018  luglio 16 Lunedì calendario

André Aciman: «Odio Philip Roth e tutti gli scrittori moderni. Mio figlio non mi legge»

“Non riesco più a immaginare Elio e Oliver. Dopo che ho visto Chiamami con il tuo nome di Luca Guadagnino quei due ragazzi hanno i volti di Thimothée Chamalet e Armle Hammer, i due attori. E anche i luoghi, la villa… sono quelli del film. Non più quelli che avevo immaginato scrivendo il romanzo”.
André Aciman è a Cortina d’Ampezzo per partecipare a Una Montagna di Libri. Risponde con uguale attenzione a tutte le domande dei lettori. Centinaia. In mano ha una copia del romanzo riscoperto (ha venduto oltre 120mila copie) grazie al film sceneggiato da James Ivory che ha sfiorato l’Oscar. È la storia d’amore omosessuale di Elio e Oliver.
Aciman, i film aiutano a riscoprire grandi romanzi. Ma tolgono qualcosa agli scrittori?
È vero, ormai tutti, me compreso vedono i personaggi e i luoghi come compaiono nel film. Ma io sono felice che Guadagnino abbia fatto il film. Un’ottima pellicola.
Però, come dicono molti scrittori, prima di andare al cinema leggete il libro…
No, per me è meglio il contrario. Andate al cinema e dopo leggete il libro.
Così addio sorpresa…
Se prima vedono il film, non parlo del mio caso, si rendono conto di quanto un libro, di solito, sia più ricco di una pellicola.
È una critica a Guadagnino?
Assolutamente no. Anzi. Quando Luca mi ha detto che voleva fare il film e mi ha chiesto un parere, non ho proposto cambiamenti. Neanche quando ho visto che la scena finale era diversa dal libro e, all’inizio, ero disperato. Poi quando l’ho visto, quel ragazzo che piange davanti alla cinepresa, ho pensato che era più bello del mio finale. Con i titoli di coda che scorrevano sul suo pianto e diventavano un elemento estetico.
Ma Elio e Oliver sono ancora suoi?
Non sono mai stati miei. Hanno una loro vita. Hanno la vita di chi legge. Mio è soltanto il romanzo.
Ma lei come li aveva immaginati?
Quando scrivo non vedo i personaggi. Elio non sapevo nemmeno se fosse biondo o bruno. A me non piacciono le descrizioni dei volti. E neppure dei luoghi.
Lei è famoso per le sue descrizioni delle città, come in Città d’ombra. Da Alessandria d’Egitto, dove è nato, a Roma, dove è cresciuto. Fino a New York dove vive.
Ma non racconto le città reali. Sovrappongo la mia Roma a quella che vedono gli altri. Quando un lettore dice: “Roma è come la racconta!”, non capisco come sia possibile.
Molti si sono chiesti cosa ci sia di autobiografico nell’amore tra Elio e Oliver?
Quando avevo 9 anni ho incontrato un ragazzo più grande, ne aveva 17. Ho pensato: voglio essere suo amico. Non saprei dire cosa fosse precisamente quel mio interesse, ma qualcosa è rimasto. Da quell’episodio è nato il libro.
Oggi è a Cortina. Poi andrà in Brasile. Ma quando scrive? Qual è il suo segreto?
Non sono uno di quegli scrittori che si chiudono nel loro studio. Insegno all’università, rubo tempo quando lo trovo. Scrivo, poi mi capita un amico a casa. Scrivo e poi vado in palestra. Ma giro spesso con il mio quaderno di appunti, magari sulla metro di New York. Sono frasi apparentemente senza peso, cose che non scriverei mai quando sono al computer. Sembra tutto meno serio. E invece… poi magari finiscono nei libri.
Non le chiedo che messaggio voleva dare con il libro, vedo già una smorfia…
Non volevo insegnare niente. Non ho uno scopo. Un libro che suggerisce idee mi ricorda l’immagine di Marcel Proust: è uno splendido vaso cinese, ma con il prezzo sopra. Ovvio, ci sono delle idee, ma per me devono restare nascoste. Descritte come sentimenti, fatti. Non in forma astratta.
Nell’amore di Elio e Oliver il sesso è importante. Qual è il segreto per raccontarlo?
È complicato. Bisogna dire come avvengono le cose, certo. Penso a quella scena in cui sono nudi sul letto, ma non hanno ancora fatto l’amore. Si toccano un piede, esitano. “Che stai facendo?”, chiede Oliver. È il momento del disagio, della coscienza – che è antitesi della passione – prima di lasciarsi andare. Bisogna essere precisi. Ma nello stesso tempo vaghi, perché il lettore potrebbe provare ribrezzo: così a un certo punto del racconto di Elio ho messo un’amnesia… perché si era fumato una canna.
Eppure leggendo il discorso del padre in Chiamami con il tuo nome veniva da pensare a un messaggio. Parlava a suo figlio?
Mio figlio non mi legge. Dice: “Faccio anch’io lo scrittore, abbiamo gli stessi gusti, la stessa voce. Finirei per scrivere come te”.
Che libri consiglierebbe a un giovane scrittore?
Posso dirle una cosa?
Certo.
Non leggo più, soprattutto i contemporanei. Trovo sempre un inglese banale che cerca di essere elegante. Uno scrittore vero deve scrivere meglio di così.
Perfino Philip Roth?
Devo essere franco… lo odio.
E Jonathan Safran Foer che tutti idolatrano?
Per carità.
Ma allora chi si salva?
L’ultimo che mi viene in mente è Winfried Georg Sebald. Sennò penso a Edith Warthon.
Lei parla perfettamente la nostra lingua… tra gli italiani?
Quando ero giovane mi piacevano Cesare Pavese, Alberto Moravia, Carlo Cassola o Italo Svevo, anche se non aveva un italiano perfetto. Un grande è senz’altro Giuseppe Tomasi di Lampedusa… il racconto la Sirena… stupendo.
Sembra più bella l’Italia nelle sue parole. Migliore di come la vediamo noi di questi tempi.
Penso a Roma di notte. Silenziosa e deserta. Con i sampietrini bagnati dalla pioggia, luccicanti come d’argento. È perfetta.
Roma e Bordighera, in Liguria, dove è ambientato Chiamami con il tuo nome…
Le dico un segreto. In realtà quella non è Bordighera. Un giorno, trentacinque anni fa, viaggiavo in treno lungo la costa ligure. Ero con una ragazza bellissima. Abbiamo visto un paese che ci è piaciuto e siamo scesi senza pensarci. Tra Nervi e Bogliasco.
Dalla stazione di Sant’Ilario di Fabrizio De André!
Sì. C’era la villa di un grande industriale. Affacciata sul mare. Ho chiesto di visitarla. È cominciato così.