La Stampa, 15 luglio 2018
La vita nascosta della comunità degli Elfi tra campi di patate, mucche e meditazione
Gli Elfi arrivarono quassù poco meno di quarant’anni fa e ne fecero la loro vallata, occupando una dopo l’altra vecchie case di montagna abbandonate e in rovina per farne le loro abitazioni. Erano giovani alternativi alla ricerca di una vita diversa, a contatto con madre terra, che permettesse loro di vivere del lavoro dei piccoli allevamenti e della raccolta di tutto quel che può crescere fra gli 800 e i mille metri dell’Appennino tosco-emiliano.
Oggi quella comunità dai tratti fricchettoni e libertari resiste ancora fra i casolari di pietra sparsi fra i boschi, dove in invernate difficili come l’ultima la solidarietà e l’aiuto reciproco diventano indispensabili, perché nessuno risale per quattro chilometri lo sterrato che dalla Statale si inerpica fino a Casa Sarti per liberarlo dalla neve (e a febbraio qui ne sono caduti più di due metri). Difficile immaginarlo, soprattutto adesso che la grande radura è invasa dal sole di luglio, ad arroventare la Festa della socializzazione organizzata come ogni anno dagli Elfi, fra meditazione, musica, balli e laboratori dal sapore new age.
Se gli occupanti della Valle del Limentra hanno scelto l’immaginario tolkieniano per battezzare sé stessi e i propri insediamenti – il più antico è stato chiamato Gran Burrone -, lo si deve al fatto che fra le letture collettive della sera c’era Il Signore degli Anelli: «Il primo gruppo di case occupate risale al 1981 – ricorda Mario, 64 anni, il decano di questa esperienza – Abbiamo riparato le case diroccate e avviato attività economiche di pura sussistenza, nessuno vende niente qui. All’inizio avevamo problemi con i cacciatori e con le autorità locali, poi le cose si sono appianate, almeno fino allo scorso giugno quando è scaduta la concessione regionale dei terreni». E pensare che il libro di Tolkien, fino a pochi anni prima, era stato un cult per le formazioni giovanili di estrema destra, mentre fra gli Elfi della vallata la tendenza politica, se pure esiste, è pacifista e vagamente anarcoide. Le donne sono vestite in stile post-hippy delle donne, qualche maschio sfoggia i dreadlock. Qualcuno rivendica la scelta di libertà: «Sono vent’anni che sto quassù, ci sono venuto perché volevo vivere di quello che poteva dare la terra dopo che la mia famiglia contadina decise di cambiare mestiere, dandosi all’edilizia», racconta Fabrizio, 47 anni.
Autostop e utopie
Era un’altra epoca, di viaggi in India in autostop e di utopie sfumate in fretta, ma il senso di comunità degli Elfi sembra resistere anche oggi che sono rimasti in una novantina, la metà dei quali bambini o ragazzini. Sì, perché nella vallata, dall’81, sono nati circa 200 bambini. «Io ho quattro figli, il più grande ha 16 anni, e sono tutti nati qui, in casa, col parto naturale. I bimbi fino alle elementari li educhiamo noi ispirandoci al metodo steineriano. Volevamo anche aprire una scuola, ma non è stato possibile per motivi burocratici». Sembra un quadro idilliaco ma non lo è, non quando l’inverno picchia duro come quest’anno: «La neve arrivava fin qua – aggiunge Daniele alzando un braccio -, ci siamo aiutati l’un l’altro. E nel giorno della nevicata peggiore è nato mio figlio».
Porte aperte
In un campo vicino alla radura della festa, una decina di persone sono chine sotto il sole a far fieno: servirà per capre e mucche allevate nei casolari. La loro è un’economia di sussistenza: «Coltiviamo grano, orzo, soprattutto patate, e poi ci sono gli orti, le castagne, gli alberi da frutto». Quando non basta, qualcuno va in città a vendere collanine o altri oggetti di artigianato. Come Eligio, originario di Milano: «Vivo fra gli elfi da un annetto, lavoro nell’agricoltura, raccolgo castagne, allevo animali». Ma ci si campa? Risposta: «No. Ma qualcuno fa artigianato, e non c’è bisogno di tanti soldi».
Intanto, sotto il tendone montato al centro dello spiazzo verde, una ragazza della comunità tiene un laboratorio dal titolo manageriale, “arte del processo”, ma dall’aspetto rituale: ci sono una trentina di persone in cerchio che si lanciano un gomitolo, srotolandolo fra i partecipanti fino a formare una rete che li collega tutti. Ogni volta che il gomitolo arriva a qualcuno, l’interessato esprime il suo intento: «Il mio scopo è vivere in comunità con la natura», dice Giulia, venuta qui da Venezia. «Il mio è vivere col cuore», le fa eco Giorgia, seguita da Fabrizio, dal lago d’Iseo: «Vorrei creare una rete di collegamenti per non essere solo». «Sono in questo cerchio per condividere le mie passioni e per innalzare il livello di coscienza», confessa Eugenio.
Gli abbracci
Alla fine, dopo essersi messi a camminare, si abbracciano casualmente, due a due. «È una tecnica che usano anche nelle aziende: migliora la comunicazione fra le persone e le fa collaborare meglio, pensiamo di usarla anche in comunità», spiega un’organizzatrici. Negli ultimi tempi ci sono state difficoltà fra gli Elfi e le istituzioni locali: «Il 15 giugno, dopo 15 anni, è scaduta la concessione grazie alla quale siamo vissuti qui. Per rinnovarla serve l’adeguamento alle norme antisismiche e la costruzione dei bagni in tutte le case – spiega Mario – Intanto chiediamo il riconoscimento europeo in qualità di piccoli produttori contadini».