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 2018  luglio 15 Domenica calendario

Paolo Genovese: «Il mio prossimo film dal cast americano»

Il rapporto di Paolo Genovese con l’Ischia Global Film & Music festival «è stato costante negli anni: Pascal Vicedomini riesce a mettere insieme un mondo variopinto e colorato, un’atmosfera internazionale che fa bene al nostro cinema. A Ischia ho proiettato Tutta colpa di Freud davanti a Danny De Vito e altre star americane». La sedicesima edizione (da oggi al 22 luglio) della rassegna è dedicata a Carlo Vanzina, a cui era stato assegnato il Legend Award, riconoscimento che sarà consegnato alla memoria stasera alla presenza di un gruppo di attori che il regista, scomparso l’8 luglio scorso, ha diretto in quarant’anni di carriera insieme al fratello Enrico. Da quest’anno nasce poi il Premio Carlo Vanzina – Prince of Comedy, che certificherà in ogni edizione il talento di un giovane cineasta.

Genovese, sarà un Festival dedicato a Carlo Vanzina, che al cinema ha raccontato l’estate, come del resto anche lei, in “Immaturi”.
«Sì. Mi affascina la polarizzazione climatica, sia nel freddo che nel caldo. Il mio film estivo feticcio è Mediterraneo. Mi piace che questo Festival sia sotto il segno di Carlo Vanzina, tutto il bene che è stato detto, unanimemente dai colleghi su di lui è vero, sentito. E il suo cinema è legato sia all’estate, con iSapore di mare, ma anche alle Vacanze di Natale, film culto di almeno due generazioni».
Carlo Vanzina diceva che la nostra vita è scandita da una ventina di estati. La sua più tragica, o comica?
«Due, che sono l’opposto l’una dall’altra. La prima, nell’88, Non avevo una lira e cercavo lavoro, lo trovai in un villaggio turistico.
Quando arrivai lì si accorsero che, timido e riservato, ero negato per l’animazione. Mi misero al mini club, passai un’estate folle occupandomi di bimbi, per fortuna c’era un capo animazione che dilettava le serate: era Fiorello. Due anni dopo, alla vigilia della partenza con la fidanzata per la sua casa estiva, ci lasciammo. Era il 12 agosto e passai la settimana da solo, in una Roma deserta e svuotata. Ho da allora l’idea di girare un film ambientato in quei cinque giorni di coprifuoco assoluto, in cui la città diventa altro ed escono fuori storie meravigliose. È come quando una pozzanghera si asciuga al sole e mostra qualcosa che prima era nascosto».
Al Festival lei porta il suo romanzo, “Il primo giorno della mia vita”.
«Sì. Lavoro all’adattamento per il cinema. In tantissimi mi hanno ringraziato per aver dato speranza a chi tocca il fondo e ha voglia di ripartire. Forse c’è bisogno di storie che diano forza ed energia. E mi è venuta una voglia irrefrenabile di farci un film, parlare non solo alla nicchia dei lettori ma al pubblico del grande schermo. Voglio rispettare la storia, che è molto ricca e ambientata in una New York magica. Il cast sarà americano».
Il suo primo film in inglese.
«Sì. Dopo Perfetti sconosciuti e The Place la voglia di parlare a tutti cresce, diventa un’esigenza più presente. E mi ispira il cinema indipendente americano, quel mondo frequentato da anime narrative alla Stanley Tucci, Paul Giamatti, James Franco, Marisa Tomei, John Turturro…».
Immagino che molti di questi sarebbero felici di lavorare con un regista italiano…
«E infatti le confesso che ci sto pensando, sì…».
Dopo il successo cinese di “Perfetti sconosciuti” le è venuta voglia di ambientarla a Pechino?
«A Pechino no, ma a Hong Kong sì.
Sono arrivate molte richieste di fare un film là. Ma non bisogna farsi prendere dal facile entusiasmo. È vero che sono il futuro e che sono un miliardo, ma l’opportunità è giusta solo se rispetta la storia».
E se le offrono un blockbuster cinese?
«Una bella tentazione, ma no, grazie. Credo di essere capace di raccontare un’emozione, ma l’action non fa per me. Ho visto le prime immagini diSoldado di Stefano Sollima e mi sembra che abbia fatto un lavoro fantastico. Io non sarei in grado».
Girerete ancora in coppia con Luca Miniero?
«Abbiamo passato un periodo meraviglioso insieme. E, a parte i fratelli, due registi che lavorano insieme sono un caso raro. In quel periodo riflettevo su quanto era bello condividere paure, preoccupazioni e scelte. Ed è la cosa che mi è mancata di più quando ci siamo separati. Ognuno poi sempre di più ha voglia di raccontare storie, ma se troviamo il progetto giusto, perché no?».