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 2018  luglio 15 Domenica calendario

Jfk elegante, Nixon imbroglione, ora tocca a Donald l’ultima buca

WASHINGTONEquivalente moderna dello scettro imperiale, il bastone da golf che Donald Trump impugna con un accanimento senza paragoni nella storia della presidenza americana, è dal 1909 lo strumento dello sport d’obbligo per i sovrani temporanei degli Stati Uniti. Dal corpacciuto William Taft che per primo si esibì goffamente su un campo da golf a Donald Trump, che ha speso 126 dei suoi 534 giorni al potere – un giorno ogni quattro – colpendo palline con la mazza, questo sport inventato nel ‘500 e perfezionato in Scozia nel ‘700 è un rito d’obbligo per i presidenti. Soltanto quattro, dal 1909 – Hoover per rispetto verso la Grande Depressione, Roosevelt fiaccato dalla polio, Truman perché lo detestava, Carter per schizzinosità pauperista – non lo hanno praticato.Se nessuno ha mai raggiunto la frenetica ossessione trumpiana per mazze, palle e buche è perché “The Donald” sposa l’utile al dilettevole, giocando, come ha fatto ieri in Scozia, in uno dei diciassette golf resort che possiede nel mondo e che ricevono dalle sue esibizioni enormi effetti promozionali, a spese dei contribuenti. Mentre lui smazza gratis sui campi di proprietà, lo Zio Sam paga un conto arrivato a trenta milioni di dollari per il trasporto, la sicurezza, le comunicazioni e tutto il circo logistico che accompagna le tournée presidenziali. John F. Kennedy, il miglior presidente golfista del dopoguerra, conosceva i rischi politici della pratica di uno sport ancora giudicato troppo elitista, e non pubblicizzava mai le sue spedizioni su “green” e “fairway” dei percorsi.Preoccupazioni che Clinton, con il sigaro fra le labbra, non aveva, mostrandosi volentieri e divenendo famoso per le imprecazioni da carrettiere quando ciccava un colpo e per l’autoindulgenza. Quando un golfista sbaglia un tiro può occasionalmente ignorarlo e la pratica è chiamata “mulligan”. Clinton se ne cancellava talmente tanti che quella pratica era stata ribattezzata “billigan”. «Parlava anche peggio di me», si difese Trump nei giorni delle vergognose rivelazioni sul suo trattamento delle donne spiegato come “gergo da spogliatoio”. «E Hillary, la moglie, lo spalleggiava nel molestare le donne».Sport per gentiluomini d’onore, almeno tradizionalmente, che tengono personalmente conto del proprio punteggio e dei colpi tirati, il golf diventa quindi uno spioncino per misurare l’onestà e la sincerità di chi lo pratica.Trump, che è un ottimo dilettante e uno sbruffone professionista, sostiene di avere stabilito il record sul campo della sua Mar-a-Lago, ma non esistono né testimoni, né documenti per provarlo. Come indimostrabile, giocando lui da solo o con avversari compiacenti, è la pretesta di essere «il miglior golfista dilettante del mondo».Non servono invece prove per vedere come il modo di giocare a golf dei vari presidenti sia la traduzione sul campo della loro personalità. Lyndon Johnson, texano brusco e prepotente, «colpiva la palla come se fosse la testa di un serpente a sonagli» disse Bob Hope che aveva giocato con lui. Nixon, incorreggibile baro, portava in tasca palline da trovare miracolosamente quando quella giocata finiva nella boscaglia.Reagan si era fatto installare un “putting green”, un minigolf, sull’Air Force One e Obama si rifugiava spesso nel giardino della Casa Bianca a indirizzare palline in buca insieme con il vice Biden. Temutissimo dai suoi collaboratori era il vecchio George H. Bush che praticava lo “speed golf”, dove il percorso doveva essere completato nel minor tempo possibile, col fiatone della sua corte.Kennedy, sempre kennedyano, era «elegantissimo nello swing», il movimento per colpire la palla.Ma oltre che di integrità, lo sport dei presidenti è un eccellente rivelatore di un altro handicap della politica: l’ipocrisia. Trump aveva scagliato 27 tweet contro Barack Obama per accusarlo di trastullarsi con mazze e palline mentre l’America cadeva a pezzi ed è vero che il giorno in cui diede l’ordine di colpire Osama bin-Laden si era prima calmato i nervi nella solitudine di un campo da golf. «Quando sarò presidente – aveva promesso The Donald – sarò troppo occupato a rifare grande l’America per giocare». Poi lo ha trovato il tempo, più di ogni presidente nella storia.