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 2018  luglio 15 Domenica calendario

Il governo delle emoticon che minaccia la Parola

Chi si salverà, chi ci salverà dal governo delle emoticon? Il governo, vale la pena di ripetere, l’amministrazione e il potere esecutivo delle faccette, delle bandierine, degli occhietti, dei cuoricini, dell’avambraccio forzuto e del pollice che fa ok, delle manine che si stringono e di quelle che fanno clap-clap-clap-clap...Sempre più pop, sempre più in basso, al grado zero ormai, se non è lo sprofondo della comunicazione istituzionale. E per quanti scrupoli ci si faccia ad apparire elitari, pseudo-aristocratici o peggio radical-chic; e per quanta puzza possa avvertirsi sotto il naso di fronte a un presidente del Consiglio e ai suoi due vice molto social che da un po’ affrontano i problemi collettivi a colpi di simboletti che in buona sostanza esprimono i loro personali stati d’animo, beh, fino a qualche mese fa esisteva pur sempre la nozione di discorso pubblico. E appunto in suo nome ci si assumerebbe qui il triste compito di chiedersi se nell’estate 2018 il marketing emozionale ampiamente praticato da Conte, Salvini e Di Maio non lasci per la prima volta intravedere la liquidazione della parola. O per tenerla un po’ alta – che nel contesto delle faccine emoji magari non guasta – la morte del Logos.Non c’è cataclisma al giorno d’oggi che sembri tale, con tanto di bollo del notaio. Ma i governanti parlano sempre meno, limitandosi a poche frasi perentorie, per lo più di ordine sarcastico o bullesco, e le accompagnano con immagini, quasi sempre di loro stessi (anche auto-replicati: vedi Salvini che a Pontida indossa la maglietta con la faccia di Salvini) e adesso le rafforzano anche con segni elementari, poco più che indizi, sintesi grafiche. Le questioni sono quelle che sono, sempre più terribilmente complesse: immigrati, barconi, confronti europei, vitalizi, previdenza. Ma loro non ritengono di analizzare, spiegare, confrontare, magari addirittura convincere. No.Scrivono quattro parole, in genere più semplificate che semplici. A volte fanno finte domande – si chiamano “sondaggi di contatto” per tener desto e coinvolgere il vasto pubblico. E in attesa di abrogare del tutto la forma scritta, mettono le faccette: sorridenti o tristi, ammiccanti o con gli occhi sbarrati per esprimere sconcerto, e i cuoricini ruffiani e sciacalleschi che li fanno tanto buoni, per la ragazza morta, per i 102 anni di nonna Armelinda. Tutto questo un po’ significa che “fanno cose” con le parole, la novità è che ora nemmeno più con quelle.Dice: ma milioni di italiani fanno lo stesso. Vero, verissimo. Ma il dispositivo occulto, l’effetto indotto, insomma l’abilità da paraventi sta proprio nel recitare, a volte scimmiottandola, la vita di tutti. Ogni nuovo potente, guarda caso, ha le sue specialità. Il presidente Avvocato del popolo, il cui compito principale è tenersi lontano dalle grane, pubblica innocue bandierine, promettenti strette di mani e vezzose coppettine di champagne; nella disponibilità del Capitano c’è una varietà di emoticon che surriscaldano il quotidiano e gonfiano gli umori, ma anche pollicioni rassicuranti, pure dal vero, con sorriso d’ordinanza e piccoli volti gialli e sghignazzanti, accenni provocatori e il gioco ricomincia; Gigino, d’altro canto, è il più fisico di tutti e ha la debolezza del braccio da culturista. Forza qui, forza lì. Le foto delle manifestazioni di giubilo per “bye bye vitalizi”, con omonima etichetta su bottiglia di spumante e argentee lettere gonfiabili, ricordano un carnevale necessariamente accaldato. Per quanto riguarda i poveri testi scarnificati, Salvini scrive sempre “Amici” con la maiuscola, ai nemici manda ogni volta “un bacione” e chiama in ballo il Rolex e il Maalox.Fra gli interlocutori, Di Maio ha individuato di recente Jerry Calà.È difficile stabilire se tutto questo costituisce un’evoluzione o una rottura. Certo la fine della parola configura una nuova razza di animali politici: iperconnessi, affabili, volitivi, narcisisti, impazienti, bulimici e performativi. Avendo il poco o il nulla alle spalle si muovono bene nel caos, anche se ignorano gerarchie e cronologie, confondono l’oggettività con le emozioni e l’attendibilità con le narrazioni. Immersi nella società dell’istante, inseguono l’immediatezza. Il loro presente è già vissuto come passato, perciò sono ultra-rapidi. Prima che offrire soluzioni, del resto, politica è imprimere un ritmo, possibilmente un’accelerazione. Nella complessità, le parole è come se fossero un’inutile perdita di tempo. Sarebbe comodo attribuire quest’esito – che atterrisce – al celodurismo e all’impostura padana; così come all’ideologia del vaffanculo visionario. No. L’anello di congiunzione è Renzi e il renzismo. È lui che ancora occorre ringraziare per i gufi, le slide, il ciaone e gli hashtag di fasullo ottimismo che hanno segnato la sua epoca. Il fatto che sia durato così poco è forse l’unico elemento di consolazione. Senza parole, i tempi di usura delle classi dirigenti diventano sempre più brevi. Poi magari un giorno si ricomincerà tutti, come dicevano le vecchie zie, a girarsi la lingua prima di parlare e di piazzare le faccette.