la Repubblica, 15 luglio 2018
Di Battista vuole aprire la frontiera (americana)
Narra la leggenda – cioè lui stesso – che Alessandro Di Battista maturò la sua avversione per i giornaloni dopo che Repubblica ne aveva respinto una proposta di collaborazione.Errorissimo. Perché l’articolessa del grillino errante sulla frontiera messicana – ieri, GdG – stabilisce un nuovo genere letterario che spazia da Melville a Wodehouse, fermandosi all’incirca nei pressi di Franco Lechner.Di Battista è andato a Tijuana, al confine tra California e Messico, gravido di certezze maturate in rete.Le elenco a caso: sì, Trump è cattivo ma il muro l’aveva finanziato anche Bush. Sì, i repubblicani sono bruttibbrutti ma Obama, pure lui, votava a favore dei provvedimenti per blindare le frontiere. Sì, quelli di adesso saranno anche un po’ fasci ma comunque Clinton… Fin qui siamo a Melville. La parte alla Wodehouse è il tono col quale il Nostro racconta ai propri lettori la patente ingiustizia di un popolo (quello messicano) affamato da un altro (gli Usa) che ne salassa le risorse e poi ne impedisce le migrazioni. Ora provate a mettervi nei panni di Di Battista, cioè ragionate un tanto al chilo, e sostituite “messicano” con “africano” e “Usa” con “Occidente tutto”. Pure noi. Ecco. Lungi dal vostro modesto scriba l’ipotesi di iscriversi alla “Benaltrismo University” di Davide Casaleggio e Vincenzo Scotti, ma Dibba sollecita quantomeno un maanchismo di veltroniana memoria. Cioè: sarà vero che gli Usa scippano l’acqua del Colorado al Messico per soddisfare la propria opulenta agricoltura. Ma per dirne solo una, Qatar, Arabia, Cina, India, si stanno comprando l’Etiopia, la Tanzania, il Mali, a prezzi di saldo. Talvolta con la gente dentro, che poi cacciano. E sarà vero che le pandillas della malavita messicana arruolano i ragazzini anche contro la loro volontà o li costringono a sfidare la morte attraversando la frontiera. Ma non pare che la mafia nigeriana sia troppo più tollerante. E neanche le formazioni terroristiche islamiche al cui arruolamento coatto, immagino, anche Di Battista preferirebbe un «taxi del mare» (cit.). Sopravvolando su sintassi avventurosa e rivelazioni che non lo erano («Cos’è una guerra? È una lotta armata tra due eserciti con l’obiettivo di risolvere con la violenza una controversia»), il pezzone innerva una robusta contraddizione: perché i derelitti del Centroamerica dovrebbero toccarci e quelli che affogano a due bracciate sono incidenti tollerabili sulla strada del sovranismo? Dibba lo sa, sa che l’intero racconto configura un codone di paglione più lungo del muro di Trump. Dunque chiude svelando che un tempo faceva volontariato, ma ora versa qualcosa solo a una Ong di fiducia (la vulgata cattivista sul business dell’immigrazione è salva). Poi spiega che “Aiutiamoli a casa loro” non può essere lo slogan. Ma mica perché sia di Destra, ci mancherebbe. Perché l’Occidente l’ha usato solo per poter dormire di notte (ma chi? Quelli che dicono «Aiutiamoli a casa loro» i soldi in Africa li prendono, mica li danno).Infine cala l’asso su: «Molti di loro non aspettano che qualcuno li salvi, gli basterebbe solo essere lasciati in pace». Chissà se solo a me questa chiusa ricorda una vecchia copertina di Cuore: «Siete poveri?Cazzi vostri».