Corriere della Sera, 15 luglio 2018
Una transgender a Miss Universo
«Miss Universo è una grande finestra sul mondo, un’incredibile opportunità per farmi conoscere e mostrare che sono una ragazza come le altre». Angela Ponce, 26 anni, ha risposto così a chi le chiedeva se non pensa che i concorsi di bellezza siano degradanti o superati. Eletta Miss Spagna il mese scorso, è adesso la prima transgender a gareggiare per il titolo di donna più bella del mondo.
La sua partecipazione è stata accolta da qualche centinaio di messaggi di odio sui social, ma tutto sommato senza particolari clamori nella natìa Spagna. Un segno di quanto siano cambiati tempi, visto che, solo nel 2012, Jenna Talackova era stata espulsa da Miss Universo Canada dopo che era emersa la sua transessualità ed era stata riammessa – da Donald Trump in persona che era il proprietario del concorso – solo perché aveva minacciato una causa.
Altrettanto significativo è che l’attrice Scarlett Johansson venerdì abbia rinunciato alla parte dopo le polemiche suscitate dalla scelta di farle interpretare il protagonista Dante, un transgender, nel prossimo film di Rupert Sanders, Rub and Tug. La comunità trans aveva criticato per lo stesso motivo attori come Jared Leto e Felicity Huffman, che si erano tenuti ben stretti i ruoli da donne trans fino alla nomination agli Oscar (Leto lo ha poi vinto). «Avrei amato l’opportunità di portare la storia di Dante sul grande schermo, ma capisco perché molti sentano che dovrebbe essere interpretato da una persona transgender» ha detto Johansson, con buona pace dei produttori che difficilmente troveranno attori trans altrettanto famosi.
La questione, però, è un’altra e l’ha sintetizzata un’attrice trans, Trace Lysette: «Non sarei così arrabbiata se potessi fare audizioni accanto a Scarlett e Jennifer Lawrence per i ruoli da donna cisgender» (cioè non trans). Che posto hanno nel nostro mondo i corpi transgender? Abituati come siamo a dividere il mondo sulla base del sesso – fin dalla nascita tendiamo a pensare che ci siano «cose da maschi» e «da femmine» e il genere per secoli ha definito quali fossero i compiti degli individui in famiglia, il nucleo base della società – vediamo la loro stessa esistenza come una sovversione di quel principio ordinatore.
È una questione che ha affrontato anche lo sport. Il Comitato olimpico se ne è dovuto occupare nel 2015 dopo che Chris Mosier, un ragazzo transgender, si è qualificato per entrare nella nazionale Usa di biathlon. Oggi gli atleti trans (nati donne e diventati uomini) possono partecipare senza restrizioni alle gare maschili. Le donne trans (geneticamente maschi) invece possono partecipare solo se il loro testosterone è più basso di un certo livello, per evitare che abbiano vantaggi fisici sulle donne «biologiche». Ma questo criterio potrebbe saltare col diffondersi delle cosiddette identità trans «non binarie» in cui gli individui non si identificano con uno dei due poli maschile o femminile.
È una sfida simile a quella posta dalle persone intersessuali, che cioè nascono con caratteristiche sessuali (cromosomi, genitali o struttura ormonale) non univoche. Ci sono da sempre: Stella Walsh, oro nei 100 metri alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1932, era intersessuale, come fu confermato dopo la sua morte. Allora come ora, la realtà eccede le categorie con cui la ordiniamo.