la Repubblica, 14 luglio 2018
Dostoevskij e il segreto della sposa cadavere
Dostoevskij si propose di scrivere L’Adolescente, che detestava ed esecrava. Come scrivere con quella solitudine, con quella profondità e quella noia? Oltre a tutto adorava l’immenso Puškin, e detestava Guerra e pace. Non pensava che ai piedi affinatissimi e allungatissimi della moglie, sebbene fossero stravaganti e strazianti. Dostoevskij andava a bere alle acque delle sorgenti che amava e se ne disgustava. Nelle prime ore della notte, Dostoevskij andava a bere alle fonti. Beveva acqua e beveva acqua acquistando una vaga isteria e disgusto, al suo vano mistero. Nel racconto la donna indossa, porta il nome della Mite (che Serena Vitale traduce in modo mirabile: conosce e comprende il proprio tema). Ma la Mite è cadaverica, un vuoto: un cadavere, un terribile cadavere, un cadavere nullo, un cadavere terribilmente eluso. È dolce, impacciata, attenta; seduta sul letto, col piede che scivola lungo la sponda. Ha occhi grandi, occhi grandissimi, il lungo piede posato sul letto. Per la prima volta il marito vedeva il corpo, vedeva il cadavere, vedeva il vuoto cadavere accecato dal furore. La Mite è dolce, crudele, alta, aggrovigliata, regale – e con occhi grandi grandissimi, avvolti da un tremendo sopore. Per molte volte vediamo il suo corpo, il suo corpo vuoto, accecato di splendore. La Mite è dolce e crudele: altera, impeccabile, avvolta da un terreno silenzio. Il protagonista tocca il sangue e ne sporca terribilmente il muro.