la Repubblica, 14 luglio 2018
L’amaca sui radical chic a Bologna
Avendo vissuto a Bologna per dieci anni, mi sono letto il lungo elenco di firme (più di mille) di bolognesi che, in buona sostanza, dicono alla sottosegretaria alla Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni: lei è una cafona, e noi ci sentiamo obbligati a farglielo notare. (Borgonzoni aveva abbandonato un dibattito sull’accoglienza senza ascoltare la replica del suo interlocutore, l’arcivescovo Zuppi).Come prevedibile, le firme rappresentano quasi al completo la Bologna delle professioni, degli intellettuali, dell’università e dell’editoria, insomma la borghesia colta. La lista pecca, diciamo così, di un eccesso di omogeneità sociale: trattasi di quelli che la vulgata di destra chiama, in blocco, radical chic.Ma quella lista rappresenta un problema, grosso come una casa, anche per la signora Borgonzoni. La quale, una volta constatato con soddisfazione che tra i firmatari non c’è un elettrauto o una sciampista, e neppure Alberto Tomba, dovrà pure domandarsi come può, un sottosegretario alla Cultura, governare disgustando chi la cultura la fa, e alla cultura destina tempo, energie e denaro. Va bene che ha dichiarato di «non leggere un libro da tre anni», dando una vigorosa pennellata di surrealtà al suo incarico di governo. Ma santo cielo, se i sapientoni e le damazze delle università, dei musei e delle case editrici hanno il vizio delle buone maniere, bisognerà pure tenerne conto: magari basta dire “buongiorno” e “buonasera” per tenerseli buoni.