La Stampa, 13 luglio 2018
L’esodo che svuota i borghi italiani. In sei anni spariti 75 mila abitanti
Seppur paradossale, il fenomeno pare inesorabile. Nonostante gli indicatori statistici ci dicano che nei piccoli Comuni si vive meglio, l’esodo dai centri minori verso le aree urbane accelera. In sei anni i borghi hanno perso oltre 74 mila abitanti. Per intenderci: è come se fosse sparita una città delle dimensioni di Pavia. Soltanto nel 2017 più di 16 mila residenti hanno abbandonato il paesello per trasferirsi in città. E ora l’Anci chiede al governo di intervenire per contrastare questo spopolamento silenzioso.
Per raccontare la grande fuga che sta svuotando i borghi italiani conviene partire da Cerignale, Comune del Piacentino che negli Anni Settanta contava 600 abitanti. C’erano il fabbro, il calzolaio, il sarto, il barbiere, un albergo, due negozi di alimentari e quattro osterie. Oggi in questo borgo dall’alta Val Trebbia resistono 127 persone, un hotel, un campeggio e una piccola rivendita. «L’esodo è cominciato con i contributi statali a chi lasciava i campi e vendeva il bestiame. Per anni la cultura di montagna è stata considerata perdente rispetto a quella di città. Oggi paghiamo il prezzo di quelle politiche scellerate», spiega il sindaco Massimo Castelli. «Ma – avverte – invertire la rotta non è utopia».
Qualità della vita e sicurezza
I Comuni considerati «piccoli» sono quelli che contano meno di 5 mila abitanti. Questi centri minori in Italia sono 5.544 (oltre duemila suddivisi tra Piemonte e Lombardia). Ci abitano 9,9 milioni di persone, il 16,4% della popolazione. Nei borghi – evidenzia il dossier dell’Anci – ci si sente più protetti: solo il 5,1% della popolazione considera la sicurezza un problema contro il 15,9% di chi vive in aree urbane con oltre 50 mila abitanti. C’è più fiducia nei vicini di casa (78,2% contro il 66,1% delle città) e gli abitanti sono più propensi all’associazionismo (14% rispetto al 10%). Le case sono mediamente più voluminose e chi ci vive ha più spazio a disposizione (92 metri quadrati per abitante contro i 53 delle grandi città). Abitare costa meno: per acquistare un immobile servono in media 119 mila euro contro i 270 mila delle aree urbane.
Le statistiche, in definitiva, raccontano che nei borghi la qualità della vita è migliore: il 70% della popolazione dei Comuni sotto i duemila abitanti si dice soddisfatto della propria condizione mentre nei centri medi e grandi la percentuale scende di oltre 5 punti. Eppure qualcosa non torna: perché i piccoli centri si svuotano? «Il problema è duplice», ragiona Matteo Bianchi, sindaco leghista di Morazzone (Varese): «Da un lato mancano le opportunità lavorative e dall’altro c’è una carenza di connettività infrastrutturale. Non penso solo ai trasporti, ma anche alla banda larga». «Servono azioni concrete, come l’investimento di miliardi di euro per portare la fibra ottica anche nelle aree più marginali», rilancia Castelli, che oltre a essere primo cittadino di Cerignale è coordinatore Anci dei piccoli Comuni.
Salvare gli uffici postali
L’altra sfida dei borghi è quella di incrementare i servizi alla cittadinanza. Scuole, presidi sanitari, esercizi commerciali: la ricetta è fare rete con le amministrazioni limitrofe. Anche la presenza di un ufficio postale può fare la differenza. Ne sa qualcosa Gianluca Forno, sindaco di Baldichieri d’Asti e vicepresidente di Anci Piemonte, che ha firmato con Poste un protocollo d’intesa nel quale la società s’impegna a non chiudere uffici postali nei Comuni piemontesi con meno di 5 mila abitanti. «Si tratta di un servizio essenziale per i piccoli centri. Le poste rappresentano un presidio che spesso si sostituisce alla banca e permette ai cittadini di gestire il denaro e pagare le bollette senza dover percorrere vallate per raggiungere la città». Ma per Antonio Decaro, presidente dell’Anci, c’è un ulteriore requisito per salvare i borghi: vincere la battaglia contro la burocrazia. «Non è pensabile che un Comune con mille abitanti funzioni con le stesse regole di un Comune con 100 mila – spiega -. Devono essere adottate norme differenti, devono essere semplificati gli adempimenti».
I protagonisti di questa migrazione interna dai piccoli ai grandi centri sono i giovani. I nuovi nuclei familiari si trasferiscono nelle città, dove i servizi sono più accessibili e la mobilità sociale è maggiore. Ecco perché l’altra faccia dello spopolamento è l’invecchiamento della popolazione dei borghi. Nei piccoli Comuni ci sono più anziani e meno ragazzi rispetto alle città: gli over 65 sono oltre il 24% dei residenti, mentre nei grandi centri il 22%. La percentuale è ribaltata se il campione che prendiamo in considerazione è quello degli under 25.
Ripartenza in tre punti
Nella conferenza “Small City & Smart Land” – che si tiene oggi a Viverone, nel Biellese – l’Anci chiede al governo tre riforme per i piccoli Comuni: l’introduzione di una fiscalità di vantaggio per le imprese che si insedino nelle aree marginali; il ripensamento del meccanismo di trasferimento delle risorse ai Comuni in base ai km quadrati e non più solo in base agli abitanti; l’istituzione di un fondo perequativo a favore delle aree deboli come compensazione per le risorse naturali che nascono in montagna ma vengono consumate da chi vive in pianura. «Alle spalle delle grandi città, abbiamo un grande ovest da riconquistare», rilancia Castelli. Se sapremo farlo, a guadagnarci sarà l’Italia intera.