la Repubblica, 13 luglio 2018
Che tormento, l’arte diabolica della canzone balneare
Sarà pure che servono a ballare e spassarsela, ma i tormentoni, in particolare quelli estivi, sono puro frutto del diavolo. Sfruttano quella demoniaca capacità che hanno alcune melodie di incollarsi al nostro cervello come sanguisughe e non staccarsene mai più, o almeno non per il tempo di un’intera stagione.
Bene fanno gli anglosassoni a chiamarli “earworms”, rende meglio l’idea del trapano perverso che si insinua e lavora al di là della nostra volontà e soprattutto del nostro gradimento. A quanti sta capitando in questi giorni di scoprirsi a canticchiare “amore e capoeira” senza neanche essersene resi conto?
Che poi in una favela, come dice la canzone, pensino a divertirsi con “amore e capoeira, cachaça e luna piena”, è tutto da vedere, ma non è certo il realismo la dote essenziale che si cerca in questi gioielli estivi.
La canzone balneare è un’arte a sé stante, un vero e proprio genere di cui tra l’altro siamo maestri e verosimilmente inventori primi. La febbre del pezzo “estivo” nasce nel lontanissimo 1962, quando la suadente voce di Nico Fidenco lanciò nei juke box di mezza Italia Legata a un granello di sabbia, a cui seguì un tripudio di rotonde sul mare, pinne fucile occhiali e “cuando calienta el sol” (annunciando già la voga latinoamericana che è una costola consistente del mondo tormentone) contagiando anche illustri cantautori come Gino Paoli ( Sapore di sale), generando veri e propri specialisti come Edoardo Vianello e rinnovandosi nel tempo a colpi di Vamos a la playa e Solitary beach. Fino ai nostri neo-edonistici tempi, dove la stagionalità è regola, per grandi e piccini. La veterana Laura Pausini per rinverdire il tema fa diventare estate E. sta. a. te e Luca Carboni per la sua Grande festa ovviamente suggerisce “la voglia d’agosto” e addirittura un’“estate tridimensionale”. Se non l’abbiamo inventato di sana pianta, di sicuro siamo stati e siamo i più tenaci persecutori di quel fortunatissimo modello che è il tormentone estivo, forse perché noi il tema delle vacanze lo sentiamo più di altri, forse perché in altri lidi musicali è estate tutto l’anno.
Sta di fatto che Thegiornalisti non hanno alcun pudore a evocare i piaceri effimeri con Felicità puttana, tanto meno se ne vergognano J-Ax e Fedez, conItaliana dove “l’estate che cerchi non è lontana”, ma che almeno cerca rime molto più originali del tipo antistaminico/Risiko.
Altrimenti, per amore di rima, luna piena fa rima con favela, oppure dobbiamo accettare che “non andiamo al mare in qualunque posto c’è troppa gente ad agosto” come ci avvertono Boombadash e Loredana Bertè, facendo il verso, con la cadenza spostata sulle tronche che finiscono con la “o”, alla gloriosa E la luna bussò. La fabbrica dei tormentoni ha delle regole precise, ma non delle certezze.
Fatto un Despacito se ne fa un altro, si direbbe, ma naturalmente non è così facile, anzi. Il nuovo “verme dell’orecchio” firmato Luis Fonsi, Calypso, segue in scia automatica il precedente, ma non ha la stessa implacabile efficacia, così come La cintura di Álvaro Soler non è esattamente come Sofia.
Si assomigliano certo, devono assomigliarsi, ma superarsi è un’altra faccenda. In Italia, e altrove, è diventato uso comune mettersi in squadra, firmare in due, tre o più, e per cantare Nero Bali ci si sono messi Elodie, Michele Bravi e Guè Pequeno. E ci sono perfino i ritardatari, quelli che arrivano all’ultimo momento per cercare il successo “last minute”. Rovazzi e Max Pezzali hanno aspettato fino a luglio inoltrato per uscire con i nuovi singoli. Rovazzi lo dice anche con discreta sfrontatezza: Faccio quello che voglio, nella quale azzarda che forse “non ti aspettavi questa nuova canzone”, ma forse sì ce l’aspettavamo, l’estate è un territorio di caccia troppo ghiotto per i fabbricanti di successi. Pezzali è addirittura salvifico: Un’estate ci salverà, dice e ripercorre nel videoclip vecchi telegiornali in bianco e nero. I demoni estivi cercano ogni strada per colpire e assoggettare vittime, come vampiri in cerca di sangue fresco. E non c’è via di scampo.
Non serve ricordare che il primo pezzo in assoluto a intitolarsi Estate è stato un capolavoro di Bruno Martino scritto all’ombra malinconica di un night club. Era triste, elegante e non voleva neanche essere un tormentone.