Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  luglio 12 Giovedì calendario

Se a cacciare le balene erano già gli Antichi romani

Fra le grandi vasche usate dai Romani per salare i tonni erano finite alcune ossa diverse dalle altre. Ritrovate negli scavi di Gibilterra, sembravano troppo grandi per appartenere alle specie di pesci allora note nel Mediterraneo. Per anni sono rimaste nei musei spagnoli, fino a quando l’analisi del Dna non ne ha rivelato l’origine. Nove campioni, datati con il carbonio-14 e studiati nel loro profilo genetico, appartenevano a balene vissute duemila anni fa.
Ritrovate in siti dove si processava e conservava il pesce, sia in Spagna che in Marocco, hanno fatto accendere una luce nella testa dei ricercatori: l’immagine di un antico Achab con tunica e arpione. Forse gli Antichi romani conoscevano già l’arte della baleneria, suggerisce un gruppo di archeologi spagnoli e francesi su Proceedings of the Royal Society B. Le due specie più rappresentate fra i campioni – la balena grigia e la balena franca nordatlantica – non abitano nel Mediterraneo. «Forse lo sfruttamento da parte dei Romani ha giocato un ruolo nel loro declino» suggerisce la ricerca. Anche se Mauro Marini, responsabile dell’Istituto di scienze marine del Cnr ad Ancona definisce l’ipotesi «improbabile», nulla esclude che la pesca sporadica di queste specie, magari limitata ai cuccioli, fosse praticata. Le due balene frequentano le basse latitudini per riprodursi e hanno l’abitudine di restare vicine alla costa durante le loro migrazioni.
«Può darsi che una combinazione di correnti le abbia portate nello Stretto di Gibilterra, che alcuni esemplari si siano spiaggiati, o che dei pescatori si siano ritrovati nelle loro vicinanze. Ma escluderei che la caccia alla balena fosse praticata all’epoca in maniera massiccia» dice l’esperto del Cnr. I pionieri riconosciuti della pesca ai grandi cetacei sono i baschi, ma solo un millennio più tardi.
«La balena è un’ottima fonte di grasso per i popoli nordici. Il Mediterraneo, così ricco di tonno, forniva già un cibo sufficientemente gustoso ai Romani» aggiunge Marini. Le citazioni letterarie antiche sulle balene comunque non mancano: da Aristotele che intuisce la loro incapacità di respirare nell’acqua a Plinio che cita addirittura esemplari “di quattro jugeri” (un ettaro); da Oppiano, autore di un trattato sulla pesca del II secolo che descrive la caccia ai cetacei usando l’arpione, al medievale Procopio di Cesarea, testimone dello spiaggiamento sul Mar Nero di uno spaventoso mostro marino.Ma ogni traduzione si scontra con l’ambiguità dei termini ketos o cetus, che nelle lingue classiche significavano “grande pesce” o “mostro marino”. La stessa balena di Giona è letteralmente un enorme abitante del mare.
Balene, mostri marini o semplici pesci, dei prodotti ittici i Romani erano comunque grandi degustatori. «Il loro consumo era continuo e diffusissimo» conferma Lorenzo Perilli, che insegna filologia classica all’Università di Tor Vergata a Roma. «Fra i resti archeologici sono stati trovati tutti i possibili strumenti per la pesca: lenze, reti, trappole, oltre alle vasche per gli allevamenti e agli impianti di trattamento, conservazione e smistamento. I mosaici, Piazza Armerina è solo un esempio, sono pieni di scene di pesca. Ma la caccia alla balena non vi è rappresentata, e questo sarebbe strano se i Romani l’avessero praticata con assiduità».
I ricercatori che hanno scavato a Gibilterra ammettono che ci vorrebbero altre prove, ma non resistono a descrivere «metodi di caccia alla balena simili a quelli usati oggi sotto costa, con barche a remi che si avvicinavano al mostro e lo catturavano usando arpioni, lunghe cime e galleggianti». La salatura in grandi vasche ( cetariae) «avveniva in comune con gli altri prodotti ittici. Il trasporto in zone lontane dell’Impero sfruttava la rete viaria e commerciale usata per gli altri cibi tipici del Mediterraneo come olio e vino».