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 2018  luglio 12 Giovedì calendario

«Con il mio veleno colpita l’ex spia Skripal. Dietro c’è uno Stato»

«Dawn Sturgess è un’altra vittima che mi porto sulla coscienza». Vladimir Uglev, 71 anni, non ha dubbi sulle sue responsabilità. Ex scienziato del segretissimo laboratorio sovietico sulle armi chimiche di Shikhany, “città chiusa” nella regione di Saratov, lavorò per 15 anni al Novichok. «Sono sicuro che l’agente usato in Inghilterra sia l’A-234. Lo conosco come una madre conosce suo figlio. Il rischio di altre vittime purtroppo resta. La sostanza potrebbe sopravvivere per decenni».

Com’è possibile che il Novichok non abbia ucciso gli
Skripal, ma sia risultato letale a distanza di quattro mesi?
«Dipende dal modo in cui si entra in contatto con l’agente. Nel primo caso è stato rinvenuto sulla maniglia della porta di casa degli Skripal. Serghej e Julija lo hanno assorbito con il palmo della mano. Qualsiasi sostanza lì fatica a penetrare perché la pelle è ruvida. Inoltre è probabile che si siano lavati le mani o che indossassero dei guanti. Sul secondo episodio, non si hanno ancora molte informazioni. È possibile che l’esecutore dell’avvelenamento degli Skripal abbia buttato la siringa o il contenitore dopo averlo usato e che la coppia di Amesbury lo abbia trovato. Forse hanno inalato o annusato l’agente chimico o lo hanno assorbito per via intramuscolare. In questo caso, la sostanza è dieci volte più letale».
In Inghilterra è psicosi. La paura è giustificata? Non c’è alcuna speranza di bonificare del tutto l’area?
«Se il Novichok si trova in un contenitore sigillato, la sua efficacia ha una durata praticamente illimitata. Se invece è stato sparso su un terreno, dipende dal clima e dalle temperature. L’agente non si decompone: si lava, assorbe o evapora – soprattutto in estate. È come l’acqua: se cade su un tavolo di legno, in parte viene assorbita, in parte si volatilizza. Alla fine il tavolo si asciuga, ma qualche traccia rimane. E può essere assimilata dalle persone. Il Novichok, tra l’altro, non può essere individuato. A differenza del polonio o di altre sostanze radioattive, non è possibile rivelarne le tracce con appositi strumenti. Il rischio di altre contaminazioni resta».
Come si trasporta?
«Si usa un contenitore simile a quello del rossetto da donna: un cilindro in acciaio inossidabile con una guarnizione di silicone.
Dentro si mette un tubetto, tipo quello della colla. Credo però che l’esecutore dell’avvelenamento degli Skripal non avesse l’agente con sé. Sarà stato messo da qualcun altro in un nascondiglio e l’esecutore lo avrà preso da lì».
Perché è sicuro che l’agente chimico utilizzato in Inghilterra sia stato creato da lei?
«Non ho dubbi. È evidente dalle informazioni diffuse sulla sua composizione e sul suo peso molecolare. Al nostro gruppo di ricerca era stato dato l’incarico di sintetizzare un centinaio di agenti chimici. Il terzo, il Novichok, fu il più riuscito. Lo produssi per la prima volta nel dicembre 1975».
Chi potrebbe averlo usato?
«Né un privato né un terrorista solitario. Solo una potente organizzazione con fondi statali può averlo sintetizzato. Per un dilettante, ma anche per uno specialista, è impossibile produrlo in ambiente casalingo. Se l’avvelenamento avesse giovato ai servizi britannici, avrebbero puntato solo a Serghej Skripal. Perché coinvolgere la figlia? Agli Stati Uniti, invece, di lui non importava nulla. Bisognava provare un odio profondo verso quell’uomo per ricorrere a un metodo così complicato e costoso. Ho un’opinione in merito allo Stato che avrebbe potuto ricorrere al Novichok, ma in questo Paese c’è il rischio di finire dietro alle sbarre anche per le opinioni...».